25 APRILE: DANTE INSEGNA A SUPERARE L'ODIO ANTIFASCISTA

«Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fïate li dispersi».
«S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogne parte»,
rispuos'io lui, «l'una e l'altra fïata;
ma i vostri non appreser ben quell'arte»
Sono i versi del famoso dialogo della Divina Commedia tra il guelfo Dante e Farinata degli Uberti, il più illustre capo politico e militare dei ghibellini fiorentini. È un botta e risposta tra due uomini di fazioni opposte, protagoniste della guerra civile a Firenze ed in tutto il centro Italia. Un dialogo che, come vedremo, supera la contrapposizione nell’ottica del comune amore verso la patria.
A dire il vero in questo periodo non è consigliabile citare il Sommo Poeta per via degli strali lanciati da una sedicente organizzazione culturale, tale “Gherush92”, che recentemente ha
bollato la Divina Commedia come condensato di razzismo, omofobia e islamofobia. Il fatto che questa organizzazione sia accreditata all’ONU mi induce a dubitare sullo reale spessore culturale di soggetti incapaci di comprendere il significato profondo e complesso della Commedia di Dante. 
Ho voluto provocatoriamente evocare il X Canto nella ricorrenza del 25 aprile per ragionare sulle intrinseche contraddizioni di questa data. Di recente il Sindaco rosso-arancio di Milano Pisapia ha chiesto a gran voce la chiusura dei negozi il 25 aprile per consentire ai cittadini di partecipare alle celebrazioni pubbliche. È curiosa questa richiesta in un Paese, peraltro fortemente cattolico, dove persino nelle festività religiose i negozi non chiudono. La verità, che sfugge a Pisapia, è che gli italiani disertano le celebrazioni del 25 aprile perché considerano questa ricorrenza non unitaria ma di parte. Non per qualunquismo o per chissà quali rigurgiti neofascisti, ma per la consapevolezza che il 25 aprile è il simbolo, oltre che di una guerra persa, di profonde lacerazioni provocate dalla guerra civile del ‘43-‘45, piuttosto che un giorno di autentica festa. 
La retorica resistenziale presenta il 25 aprile 1945 come “festa della liberazione” tra sfilate gioiose e bandiere rosse al vento. Una ricostruzione artificiosa poco aderente alla realtà storica. Viene omesso quanto ricordano bene gli italiani che vissero quei giorni e quanti hanno letto le cronache di Pisanò e Pansa. Gli italiani conoscono le vendette, le stragi, le famiglie divise dalle scelte differenti dei propri giovani. Vicende che riguardarono sia partigiani che combattenti della Repubblica Sociale Italiana. In una guerra civile è impossibile marcare chiaramente il confine tra bene e male assoluto, ammesso che esista su questa Terra. L’elemento che contraddistingue ogni guerra civile è l’impressionante odio che si scatena tra le fazioni in lotta. Figli della stessa patria pronti ad eliminarsi a vicenda. Alla fine restano solo le macerie. È quanto insegna la Storia. 
Fu così anche tra i guelfi ed i ghibellini nel Medioevo. Tuttavia Dante dà una grande lezione di vita. Pur collocando Farinata degli Uberti nell’inferno, a causa della sua adesione alla dottrina epicurea, Dante stima profondamente il capo ghibellino. Lo considera un uomo magnanimo, coraggioso e coerente. Il guelfo Dante mette da parte l’odio di parte per dare spazio alla comune appartenenza che lo lega a Farinata. Entrambi amano Firenze, un amore che supera la propria fazione. Fu così per Farinata che dopo la battaglia di Montaperti, vinta dalle truppe ghibelline guidate da Siena, si oppose fermamente alla distruzione di Firenze. A prevalere fu l’amor patrio sull’odio verso i guelfi. Fu così anche per Dante che, seppur coinvolto insieme alla sua famiglia nella lotta contro i ghibellini, riconobbe la statura morale dell’avversario politico Farinata. Grazie al Poeta la memoria di Farinata degli Uberti fu riscoperta, tanto da essere raffigurato tra i fiorentini illustri negli splendidi affreschi e nelle statue di Andrea del Castagno conservate agli Uffizi. Una figura, quella di Farinata, rievocata dalla scrittrice Carla Maria Russo nel celebre romanzo storico “Il cavaliere del giglio”.    
Dante insegna che è possibile superare l’odio generato da qualsiasi guerra civile. Politici come Pisapia, i reduci dell’Anpi ed i finti partigiani dei centri sociali dovrebbero rileggere con attenzione Dante e imparare qualcosa. Da una parte e dall’altra bisogna sforzarsi di comprendere, senza giudicare, le ragioni che spinsero tanti giovani a morire con il fazzoletto rosso o con la divisa della Decima Mas. Solo così la nostra nazione sarà finalmente pacificata. 
di Mauro La Mantia, da PlusUltraWeb

Commenti