A ogni elezione, gli uomini di
sinistra pretendono di riunire le “forze del progresso”. Ma anche un
cancro può progredire! Il progresso sarebbe un fine in sé?
Gli infelici non sanno nemmeno di
cosa parlano! Storicamente, l’idea di progresso viene formulata verso
il 1680, prima di essere definita, nel secolo successivo, da uomini come
Turgot e Condorcet. Il progresso viene quindi definito come un processo
che accumula tappe, la più recente delle quali è sempre giudicata
preferibile e migliore, cioè qualitativamente superiore a quella che
l’ha preceduta. Questa definizione comprende un elemento descrittivo (un
cambiamento interviene in una determinata direzione) e un elemento
assiologico (questo progresso viene interpretato come un miglioramento).
Quindi si tratta di un cambiamento orientato verso il meglio, di volta
in volta necessario (non si può fermare il progresso ) e irreversibile
(non si può tornare indietro). Essenso ineluttabile il miglioramento, se
ne deduce che domani sarà sempre meglio.
Per gli uomini dell’Illuminismo, dato
che l’uomo agirà nell’avvenire in maniera sempre più “illuminata”, la
ragione si perfezionerà e l’umanità diventerà moralmente migliore. Il
progresso, lungi dal mostrare solo l’aspetto esteriore dell’esistenza,
trasforma l’uomo stesso. E’ ciò che Condorcet esprime in questi termini:
“La massa totale del genere umano cammina verso una maggiore
perfezione”.
La mitologia del progresso si basa così
sull’idolatria del nuovo, poiché tutte le novità sono a priori ritenute
migliori per il solo fatto che sono nuove. Il risultato è il discredito
del passato che non può più essere considerato come portatore di esempi o
di lezioni. Il confronto tra passato e presente, sempre a vantaggio del
primo, permette allo stesso tempo di rivelare il movimento
dell’avvenire. La tradizione è percepita per natura come un ostacolo al
progresso e l’umanità deve liberarsi di tutto ciò che potrebbe
ostacolarlo”: eliminare “pregiudizi”, “superstizioni”, “fardelli del
passato”. Questo è tutto il programma di Vincent Peillon (membro del
Partito socialista francese, deputato europeo, ha fatto parte
dell’Assemblea nazionale tra il 1997 e il 2002, ndt)! All’eteronomia del
passato, si sostituisce in realtà una eteronomia dell’avvenire: ora è
il futuro radioso che è destinato a giustificare la vita degli uomini”.
In questo senso, la “reazione” può
essere un sano riflesso, ma ragionare solo “contro” non significa
abbandonare ogni pensiero autonomo?
La “reazione” è sana quando si nutre di
spirito critico, più discutibile quando si limita a dire che “era meglio
prima”. La critica dell’idea di progresso, che in epoca moderna
comincia con Rousseau, spesso rappresenta il doppio negativo – il
riflesso speculare – della teoria del progresso. L’idea di un movimento
necessario della storia viene mantenuta, ma in una prospettiva inversa:
la storia è interpretata, non come progresso perpetuo, ma come
regressione generalizzata. La nozione di decadenza o di declino in
realtà appare infatti poco oggettiva come quella di progresso. Inoltre,
come voi dite, semplicemente pensare “contro” significa dipendere da ciò
cui ci opponiamo. E’ in questo senso che Walter Benjamin potè dire che
“l’antifascismo fa parte del fascismo”.
“Progresso” e “reazione” non si richiamano entrambi a una visione lineare della storia, che potrebbe anche articolarsi in cicli?
Per i greci, solo l’eternità del cosmo è
reale. La storia è fatta di cicli che si succedono alla stregua delle
generazioni e delle stagioni. Se c’è salita e discesa, progresso e
declino, è all’interno di un ciclo al quale ne succederà un altro (la
teoria delle età successive in Esiodo, il ritorno dell’età dell’oro in
Virgilio). Nella Bibbia, al contrario, la storia è puramente lineare,
vettoriale. Ha un inizio assoluto e una fine necessaria. La storia
diventa quindi una dinamica del progresso che guarda, in una prospettiva
messianica, all’avvento di un mondo migliore. La temporalità è
orientata inoltre verso il futuro, dalla Creazione al Giudizio finale.
La teoria del progresso secolarizza questa concezione lineare della
storia, da cui derivano tutti gli storicismi moderni. La differenza
principale è che l’al di là è ripiegato sul futuro, e che la felicità
sostituisce la salvezza.
Ma la gente crede ancora al progresso?
L’eccellente Baudoin Bodinat (pseudonimo
d’un filosofo d’espressione francese, presumibilmente francese, ndt)
rimarca che “per giudicare il progresso , non è sufficiente sapere che
cosa ci porta, bisogna anche tener conto di ciò di cui ci priva”. Il
fatto è che molto progresso in un settore comporta una perdita, una
mancanza o una regressione in un altro. I totalitarismi del XX secolo e
le due guerre mondiali hanno, in tutta evidenza, minato l’ottimismo
dell’Illuminismo. Non si crede più al “senso della storia”, né che il
progresso materiale rende automaticamente l’uomo migliore. Il futuro
stesso ispira più inquietudini che speranze, e sembra più probabile
l’aggravarsi della crisi piuttosto che i “domani che cantano”. Fino alla
tecnoscienza, la cui ambiguità si rivela un po’ di più ogni giorno,
come testimoniano i dibattiti sulla “bioetica”. In breve, come dice lo
scrittore italiano Claudio Magris: “Il progresso non è un orgasmo!”
Per essere onesti, si deve tra l’altro
riconoscere che, grazie ai progressi della tecnologia e dell’ideologia
dello “sviluppo”, la nozione di progresso resta ancora presente in una
società che, poiché crede ancora che “più” è sempre sinonimo di
“meglio”, ricerca o accetta la sovraccumulazione infinita del capitale e
l’estensione perpetua delle merci.
*da Boulevard Voltaire, traduzione di Manlio Triggiani per Barbadillo.it
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