Il ministro (hi-tech) per la Cooperazione internazionale e
l’integrazione, Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio
e Cavaliere di III classe dell’Ordine di Radonez, non ha dubbi.
Per favorire sviluppo e crescita bisogna investire sui
figli dei rom (comunemente chiamati zingarelli e zingarelle), sulla loro
scolarizzazione. Né ha dubbi su come evitare in futuro episodi di
intolleranza nei confronti dei nomadi - episodi che «mettono a rischio
l’integrazione», e su questo non ci piove, ma anche «la tenuta del
Paese», e su questo concetto, invece, non cade una goccia: dar loro una
casa, «perché la vita in una casa favorisce l’integrazione e il
superamento della provvisorietà».
Ora, va bene l’emergenza, va bene fare a casa i compiti dettati dalla Merkel, va bene il martellante disprezzo per la classe politica e per chi l’ha eletta, va bene un Napolitano che calza, ma alla ventitré, il kepì di De Gaulle: ma questo Riccardi, che ci azzecca col governo tecnico? Questo Riccardi che ripete, da ministro in carica, con le responsabilità di un ministro in carica, i luoghi comuni buonisti, roridi, multiculturali, multietnici e multi tutto in uso nei salotti buoni (tutti siti a grande distanza dagli insediamenti rom) dove si pratica a chiacchiere, tra un frizzantino e un teuccio, l’«impegno nel sociale»? Questo Riccardi che a chi gli obiettava che gli zingari non vogliono essere «stabilizzati», non ci vanno nelle case, non mandano i loro figli a scuola, risponde, giulivo, che ci vuole più «dialogo», col quale nei salotti buonisti, sempre fra un frizzantino e un teuccio coi Pavesini, s’è certi che tutto s’ottiene, tutto s’aggiusta.
Ammettiamo pure che fino a ieri Andrea Riccardi vivesse tra le nuvole della sua comunità, dividendosi tra i sospiri per la pace nel mondo e i dialoghi con i suoi beneamati zingari. Ma ora, membro di un governo sobrio quanto si vuole ma stangatore cieco come pochi altri, dovrebbe saperlo. Dovrebbe sapere che ci sono migliaia a migliaia di italiani per i quali la casa resta un miraggio.
Altrettanti se non di più che non sanno più come seguitare a pagare il mutuo per quelle che dopo mille calcoli, riflessioni e patemi d’animo erano diventate le loro agognatissime quattro mura. Dovrebbe sapere che si mette male e si mette male per tutti: che non c’è più una lira. E lui, il Cavaliere di III classe dell’Ordine di Radonez, cosa ti va a proporre? Di offrire a titolo grazioso una casa ai 130-150mila nomadi temporaneamente stanziati in Italia.
O, in via alternativa, dar loro una consistente buonuscita in contanti - si chiama, in gergo santegistese, «rimpatrio assistito» - perché se ne tornino da dove son venuti. Oltre tutto, se se la passassero davvero male qui da noi, gli zingari se ne sarebbero già tornati, chi pedibus calcantibus chi a bordo della propria Mercedes (esente da bollo e assicurazione, eh, son nomadi...) alle loro regioni, alle loro pustze.
Se restano, vuol dire che si trovano a proprio agio avendo trovato terreno fertile per l’accattonaggio, lettura della mano, furti e furtarelli, recupero forzoso d’ogni pezzo di rame in circolazione e altre attività che appartengono, come ci è stato insegnato, alla loro grande cultura. Non che manchino gli zingari dediti a lavori leciti, per carità.
Ma caso vuole, quelli coi quali si ha a che fare, quelli che incontriamo per strada nei pittoreschi costumi della loro grande, grandissima cultura, sono i primi. Andrea Riccardi vorrebbe tanto farceli piacere, ma quello di privilegiarli regalando loro case e soldi - negate le une e negati gli altri al cittadino italiano in bolletta - non par proprio essere la strada giusta. Ci manca solo, oltre a quelle che già ci ammorbano, la casta dei Rom da mantenere a pane, burro e marmellata.
da ilgiornale.it
Il ministro Andrea Riccardi in visita in un campo nomadi
Ora, va bene l’emergenza, va bene fare a casa i compiti dettati dalla Merkel, va bene il martellante disprezzo per la classe politica e per chi l’ha eletta, va bene un Napolitano che calza, ma alla ventitré, il kepì di De Gaulle: ma questo Riccardi, che ci azzecca col governo tecnico? Questo Riccardi che ripete, da ministro in carica, con le responsabilità di un ministro in carica, i luoghi comuni buonisti, roridi, multiculturali, multietnici e multi tutto in uso nei salotti buoni (tutti siti a grande distanza dagli insediamenti rom) dove si pratica a chiacchiere, tra un frizzantino e un teuccio, l’«impegno nel sociale»? Questo Riccardi che a chi gli obiettava che gli zingari non vogliono essere «stabilizzati», non ci vanno nelle case, non mandano i loro figli a scuola, risponde, giulivo, che ci vuole più «dialogo», col quale nei salotti buonisti, sempre fra un frizzantino e un teuccio coi Pavesini, s’è certi che tutto s’ottiene, tutto s’aggiusta.
Ammettiamo pure che fino a ieri Andrea Riccardi vivesse tra le nuvole della sua comunità, dividendosi tra i sospiri per la pace nel mondo e i dialoghi con i suoi beneamati zingari. Ma ora, membro di un governo sobrio quanto si vuole ma stangatore cieco come pochi altri, dovrebbe saperlo. Dovrebbe sapere che ci sono migliaia a migliaia di italiani per i quali la casa resta un miraggio.
Altrettanti se non di più che non sanno più come seguitare a pagare il mutuo per quelle che dopo mille calcoli, riflessioni e patemi d’animo erano diventate le loro agognatissime quattro mura. Dovrebbe sapere che si mette male e si mette male per tutti: che non c’è più una lira. E lui, il Cavaliere di III classe dell’Ordine di Radonez, cosa ti va a proporre? Di offrire a titolo grazioso una casa ai 130-150mila nomadi temporaneamente stanziati in Italia.
O, in via alternativa, dar loro una consistente buonuscita in contanti - si chiama, in gergo santegistese, «rimpatrio assistito» - perché se ne tornino da dove son venuti. Oltre tutto, se se la passassero davvero male qui da noi, gli zingari se ne sarebbero già tornati, chi pedibus calcantibus chi a bordo della propria Mercedes (esente da bollo e assicurazione, eh, son nomadi...) alle loro regioni, alle loro pustze.
Se restano, vuol dire che si trovano a proprio agio avendo trovato terreno fertile per l’accattonaggio, lettura della mano, furti e furtarelli, recupero forzoso d’ogni pezzo di rame in circolazione e altre attività che appartengono, come ci è stato insegnato, alla loro grande cultura. Non che manchino gli zingari dediti a lavori leciti, per carità.
Ma caso vuole, quelli coi quali si ha a che fare, quelli che incontriamo per strada nei pittoreschi costumi della loro grande, grandissima cultura, sono i primi. Andrea Riccardi vorrebbe tanto farceli piacere, ma quello di privilegiarli regalando loro case e soldi - negate le une e negati gli altri al cittadino italiano in bolletta - non par proprio essere la strada giusta. Ci manca solo, oltre a quelle che già ci ammorbano, la casta dei Rom da mantenere a pane, burro e marmellata.
da ilgiornale.it
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