Le prese di distanza dei ministri del Pdl da Berlusconi sono il sintomo più evidente della crisi del centrodestra che covava da tempo sotto la cenere ed è alla fine esplosa nelle forme drammatiche di una sconfessione plateale ed inequivocabile dell’intenzione del capo di accelerare la fine del governo in relazione alle sue vicende giudiziarie e nel mentre si stavano approntando provvedimenti tesi alla limitazione dei “danni” derivanti da nuove tassazioni.
La rivolta contro i cosiddetti “falchi” del Pdl che avrebbero consigliato Berlusconi, ha indotto perfino Alfano a “distinguersi” come “diversamente berlusconiano” ed intestarsi di fatto l’iniziativa, in realtà presa da altri ministri (Quagliariello, Lorenzin, Lupi, De Girolamo, oltre ad esponenti di primo piano come Cicchitto, Sacconi), che preluderà – a meno di ricomposizioni sempre possibili dell’ultima ora – ad una rottura che per ora tutti ritengono insanabile. La “conta” al Senato (ma anche alla Camera) è già iniziata: non è escluso che una vera e propria scissione si concretizzi nell’imminenza del voto di fiducia prevista per mercoledì. Se accadrà, il centrodestra può dirsi finito, almeno nella forma berlusconiana che ha assunto e che abbiamo conosciuto fino ad oggi.
I ministri dimissionari tali resteranno in questa fase, ma certamente non aderiranno alla nuova Forza Italia, come hanno esplicitamente detto i “contestatori” dell’ “estremismo”. Questi ultimi, se riusciranno a coagulare attorno a loro un cospicuo gruppo di senatori e deputati e possibile che tornino a far parte di un’altra compagine ministeriale, sempre guidata da Letta, oppure che diano vita ad un altro partito, sempre che non confluiscono (operazione difficile e al alto rischio) in un rassemblement montiano-casiniano, con un anno di ritardo sulle intenzioni manifestate alla fine dell’esperienza del governo del Professore, che potrebbe mettere le ali al progetto di “Italia popolare”.
Per saperne di più è necessario attendere la riunione dei gruppi parlamentari di questa sera, alla presenza di Berlusconi, dalla quale potrebbe venir fuori una clamorosa marcia indietro che ricompatterebbe tutto. Ma fino a quando?
Ormai qualcosa nell’inner circle berlusconiano si è rotto definitivamente. Ed è difficilmente recuperabile. I “moderati” guardano ad Alfano come antagonista della deriva radicale del Pdl la cui trasformazione in Forza Italia dovrebbe completate l’opera di acquisizione del partito da parte ci coloro che vorrebbero gettare il “nuovo” soggetto nella mischia elettorale che, nelle loro prospettive, dovrebbe essere imminente. A questo i “frondisti” non ci stanno. Sono consapevoli dei pericoli dell’instabilità e del rapido impaludamento dell’Italia. E sanno bene che non si può votare con la vigente legge elettorale a meno di non incorrere in un giudizio di illegittimità da parte della Corte costituzionale i cui effetti potrebbero perfino rovesciarsi nel dichiarare altrettanto illegittimo il Parlamento che dovesse uscire dalle urne: un fatto senza precedenti che farebbe precipitare in Paese nel caos istituzionale e civile e gli farebbe perdere la faccia di fronte al mondo. Si può correre un rischio del genere?
Se poi Forza Italia, nell’ambito di un centrodestra disorganico, dovesse correre “spacchettata” e con Berlusconi forzatamente fuori gioco, che cosa ne sarebbe di quel mondo moderato tenuto insieme per vent’anni e che oggi fa sapere, attraverso i sondaggi, che l’avventurismo di qualcuno sarebbe esiziale per la tenuta di un’aggregazione elettorale che sulla carta è ancora consistente? Il favore che si renderebbe al Pd, e a Renzi in particolare, sarebbe incalcolabile.
La situazione è, dunque, gravissima. La “guerra” tra falchi e colombe è ad un punto di non ritorno. E la speranza che il Pdl facesse esplodere le contraddizioni nel Pd, inducendolo a staccare la spina a Letta, si sono dissolte in un fine settimana ad altra tensione. Purtroppo.
Resta da oggi in campo una sola domanda: che cosa ne sarà del centrodestra? La risposta è più difficile di quanto si potesse prevedere.
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