Quarant’anni fa la morte di Tolkien, il professore tranquillo che creò nuovi eroi epici e rese immortale il genere fantasy


Il 2 settembre del 1973, quaranta anni fa, moriva J.R.R. Tolkien, grazie al cui genio il genere fantasy è oggi il più venduto e il più letto di tutte le forme letterarie. Eppure il successo per lui giunse molto tardi, quando aveva ormai 65 anni, era vicino alla pensione e non vedeva l’ora di dedicarsi al Silmarillion, il libro che considerava più importante e più impegnativo. Chiunque si cimenti con gli eventi che hanno contrassegnato la vita di Tolkien resta colpito dall’ordinarietà della sua esistenza tranquilla, metodica, professorale, circondata da amicizie selezionate e la potenza fantastica dei mondi alternativi che furono il prodotto della sua sub-creazione.
Una vocazione che lo travolse, inaspettata e non cercata, quando mentre correggeva i compiti dei suoi allievi improvvisamente scrisse su un foglio: «In un buco sotto terra viveva uno hobbit…». Tolkien si dedicò alla mitologia perché, semplicemente, ne sentiva il bisogno. Certo l’infanzia non proprio felice di Tolkien deve avere avuto un peso notevole nella scelta di “rifugiarsi” in mondi fiabeschi e incontaminati. Tolkien aveva perso il padre all’età di soli quattro anni e fu l’adorata mamma Mabel a incoraggiarlo a leggere i grandi libri per l’infanzia ma anche lei, costretta a una vita di disagi dai parenti che non avevano gradito la sua conversione al cattolicesimo, si spense precocemente. La venerazione per la figura materna fu trasferita sulla donna amata, Edith Bratt, che aveva tre anni di più di Tolkien e che divenne per lui oggetto di un amore esclusivo nonostante la separazione tra i due giovani imposta dal tutore di lui, che insistette perché Tolkien perfezionasse i suoi studi senza occuparsi di distrazioni amorose.
È in questa fase che matura l’interesse di Tolkien per le saghe cavalleresche: sia il grande classico dell’inglese antico Beowulf sia Sir Gawain e il Cavaliere Verde (una nuova edizione di questo poema fu da lui curata più tardi, nel 1922) appassionavano il giovane studioso di filologia. Ci fu poi la devastante esperienza della guerra che vide Tolkien combattere nella battaglia della Somme. Una fase che indusse il futuro scrittore a maturare una visione pessimistica sul mondo e sugli uomini, base essenziale della sua futura idea della letteratura come “consolazione” per gli spiriti immersi nella mediocrità del presente. Tra gli autori che lo ispirarono ci fu il barone Dunsany, un accademico che nella seconda metà dell’Ottocento diede alle stampe una raccolta di brevi storie fantastiche e coniò un’espressione calzante per descrivere il genere di mondi in cui ambientava i suoi racconti: “al di là dei campi che conosciamo”, in luoghi dove le regole ordinarie e razionali non hanno più valore. Il secondo autore cui Tolkien fu debitore, soprattutto per quanto riguarda lo stile, è William Morris, che nei suoi romanzi trasferisce l’immaginario medievale mescolato a un mondo alternativo completamente creato da lui. A partire dal 1914 Tolkien si cimenta con gli Elfi e le Terre Immortali, buttando giù il primo nucleo di quello che diventerà poi Il Silmarillion. Appunti e note che chiamava scherzosamente “le mie spiritosaggini con il linguaggio delle fate”.
L’insegnamento prima a Leeds e poi a Oxford fu per lui un’ennesima, importante scoperta: divenne consapevole della sua capacità di trasmettere agli studenti la passione per la materia, la letteratura inglese, indagata con veemente efficacia. Entrava in aula silenzioso per poi declamare l’inizio del poema con le possenti parole del Beowulf dall’originale anglosassone. L’uditorio ne era completamente affascinato. In quello stesso periodo ha inizio l’amicizia con C.S. Lewis, lo scrittore delle “Cronache di Narnia”, e la formazione del cenacolo lettarario degli Inklings, con le bevute al pub “Bird and baby” che è oggi meta privilegiata dei pellegrinaggi turistici dei cultori dell’opera tolkieniana. Ma Ronald non dimenticava la sua famiglia, scrivendo ai suoi quattro figli le Lettere di Babbo Natale che arrivavano puntualmente ogni anno a casa Tolkien dal Polo Nord, né esauriva nella sola scrittura la sua vena artistica: amava anche disegnare draghi, folletti e altre strane creature, immagini che vennero poi usate per illustrare Lo Hobbit. Ma furono gli anni Trenta e Quaranta i più creativi della sua vita, quelli in cui sbocciarono le idee che sono al fondo delle opere che gli procurarono una solida fama di scrittore. Il primo lettore de Il Signore degli Anelli fu proprio l’amico C.S. Lewis che lo salutò come un capolavoro enucleando, nella sua critica, gli elementi che avrebbero reso il romanzo un fenomeno mondiale: «Questo libro è stato come un fulmine a ciel sereno… In un’epoca quasi patologica nel suo antiromanticismo come la nostra, improvvisamente è tornato il romanzo eroico, fastoso, eloquente e audace…».

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