MSI, la lunga marcia degli esuli: in fondo a destra da settant'anni

I missini furono esuli in una patria che li escluse dal consesso civile. L’invito alle carogne fasciste a tornare nelle fogne fu infatti metafora triviale ma aderente alla realtà di quel tempo. Perché per un cinquantennio hanno rappresentato per molte caste ammuffite del nostro Paese una categoria antropologica. Reietti da escludere dall’arco costituzionale e marginalizzare dalla vita sociale. In linea di massima, le motivazioni c’erano tutte. E i vinti della storia non avendo voce in capitolo scelsero di imboccare il più arduo dei percorsi, combinando sentimenti e ideali alla rabbia anti-sistema. Non raramente lo fecero con un nostalgismo ammantato di folklore, altre volte condensandolo nella passione per quel tricolore che a tanti connazionali provocava l’orticaria. 
La fiamma fu passione morbosa e pericolosa per militanti che subirono emarginazioni di vario tipo fino a carriere sfumate e promozioni mai arrivate. Fu la loro lettera scarlatta. Disegnata forse dal pittore napoletano Avitabile su indicazione di Gianni Roberti e posta su una base trapezoidale su cui pure si affollarono leggende per il suo essere simile ad una bara (quella di Mussolini?), fu il marchio che li avrebbe segnati nel lungo peregrinare fino al Congresso di Fiuggi. 
Giovani e adulti provenienti anche dalla Repubblica Sociale sapevano di essere ‘dalla parte sbagliata’ ma continuarono imperterriti a testimoniare e a salvare il ricordo. Ma non solo. La riforma istituzionale con la elaborazione della “Nuova Repubblica”, la partecipazione agli utili e alla gestione delle aziende, il ruolo centrale del lavoro e del sindacato, l’importanza data alla cultura e poi riviste e associazioni, la Giovane Italia, il Fronte della Gioventù, il Fuan e mille altri gruppuscoli che in molti casi vissero sulla pelle pure i lutti del radicalismo degli anni settanta
E perciò il Mis non fu, e non poteva essere, solo dei parlamentari o dei Federali, come venivano chiamati i segretari provinciali. Vi erano oscuri militanti di provincia che avevano come chiesa laica la Sezione e come mito, Giorgio Almirante, l’unico Segretario che resti nell’immaginario. 
A questa comunità la Fondazione An dedica una mostra dal titolo ‘‘Nostalgia dell’avvenire’’ che tenterà di svelare questo garbuglio di sentimenti e passioni. Ideata da Marcello Veneziani e curata da Giuseppe Parlato, sarà ospitata nell’ex sala De Marsanich in via della Scrofa. Partirà il 20 ottobre e andrà avanti fino al 10 febbraio con un ciclo di convegni anche itineranti. 
Un tributo al popolo missino più che a figure di primo piano e a leader peraltro, mai dimenticati come testimonia anche il numero di pubblicazioni. Recente è L’altro Msi, volume che analizza i profili di Romualdi, Massi, De Marzio, Rauti, Tarchi, Mennitti, Niccolai; a giorni uscirà, Adriano Romualdi. Conservatore rivoluzionario (curato e prefato da Gennaro Malgieri per Eclettica edizioni) mentre lo stesso Parlato sta per mandare alle stampe un lavoro sulla scissione di Democrazia nazionale. 
Ma questa mostra capovolge i piani. Video, fotografie, documenti d’archivio frutto delle ricerche di Simonetta Bartolini e Alessandra Cavaterra presso la Fondazione Spirito-Gentile e in parte presso Il Secolo d’Italia sono stati raccolti in un catalogo che, pur articolandosi cronologicamente attraverso le tappe delle varie Segreterie, è innanzitutto memoria di un popolo. Perché, come spiega Veneziani, magari <<non furono i migliori d’Italia, ma ebbero tre pregi che li resero diversi: scelsero a viso aperto la parte più scomoda, nel nome di una ribelle fedeltà; tennero accesa la passione d’Italia anche quando era spenta, svilita e negata; considerarono la politica non come carriera ma come testimonianza d’onore>>. 
Per questo motivo sarà anche ricostruita una sede missina con mobili, quadri, libri, labari e curiosità varie, a testimonianza di un mondo che nei paesini di provincia era ancor più complicato di quanto non lo fosse nelle città dove il partito e le reti associative facevano da scudo e protezione. 
Come però ha confessato Parlato, si eviterà di museificare il passato perché questa rimane una mostra e non il luogo per scandagliare i pro e i contro. Si traccerà solo una storia di sentimenti e non di ideologie che parte da quell’Italiani, vi chiamiamo a raccolta, parole conclusive dell’appello che il Msi fece il 26 dicembre 1946, passando poi per i luoghi storici della destra (Trieste, Alto Adige, Genova, Reggio Calabria) fino alle migliaia di volti sconosciuti senza i quali questa complessa storia politica non sarebbe durata mezzo secolo. Sarà la fotografia di un tempo e di una comunità i cui membri possono ora rivedersi e versare qualche lacrima.

di Luigi Iannone

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