L’industria aerospaziale italiana e la “Grande partita” del cosmo


In “Terra e Mare”, il profetico saggio scritto da Carl Schmitt nella cupa Berlino del 1942, il grande giurista annunciava l’avvento di «una nuova terza dimensione…un terzo elemento, l’aria, quale nuova sfera elementare dell’esistenza umana. Ai due animali mitici, il Levitano e Behmot, verrebbe quindi ad aggiungersene un terzo, un grande uccello». Diciannove anni dopo, il 12 aprile 1961, quella visione divenne realtà: su una fragile navicella, Yuri Gagarin compiva il primo volo orbitale della storia. Il “Grande Gioco Spaziale” era iniziato. Da quel giorno i terrestri iniziarono a guardare il cielo con occhi diversi.
Curiosamente, mezzo secolo dopo il lancio della Vostok 1 — un barattolo di quattro tonnellate —, quarantaquattro anni dopo l’allunaggio dell’Apollo 11 e trentatré dopo il primo volo dello Space Shuttle, la saga spaziale si è appannata, ha perso interesse, non emoziona più. Trascurati o/e ignorati dai media, i lanci continuano nell’indifferenza: i bimbi non sognano più “di fare l’astronauta” e persino la benemerita “Urania” mondadoriana — la fantascienza è ormai una passione di nicchia — langue. Fanno notizia solo gli eccentrici magnati che, di tanto in tanto, prenotano il prossimo volo per Marte.
Eppure, nonostante il disinteresse generale, i programmi spaziali continuano e s’intensificano. Spezzato da tempo il duopolio russo-americano, lo spazio è punteggiato da centinaia di satelliti d’ogni nazionalità: americani, russi, europei, cinesi, israeliani, sud americani, medio orientali, africani. Da lassù, ogni macchina può assicurare al proprio “armatore” preziose informazioni militari e/o la sicurezza delle comunicazioni (si veda, a proposito, l’attuale diatriba spionistica tra gli USA e il resto del mondo) oppure il flusso e l’indirizzo delle notizie, dati sul clima, report sull’agricoltura, ricerche (lecite e illecite) in ogni quadrante del globo. Qualsiasi siano gli scopi veri o presunti dei continui lanci, il cielo è straordinariamente affollato.
Su queste coordinate il Centro Studi Vox Popoli – Nodo di Gordio — un think tank geopolitico di spessore, da seguire con attenzione — ha deciso di tracciare un bilancio della saga spaziale proponendo un denso lavoro editoriale, “Da Baikonur alle stelle” (Ppgg. 205 – Euro 19,00). Un titolo emblematico: il grande cosmodromo in Kazakhstan si è trasformato da sinistro simbolo della guerra fredda —  fu la roccaforte sovietica nella “grande corsa” allo spazio tra Usa e Urss — in una delle principali basi del pianeta Terra. Oggi Baikonur è una piattaforma utilizzata sia dai russi che dagli statunitensi e dagli europei (italiani compresi) per lanci di satelliti. Una prima ipotesi di collaborazione inter-terrestre. Jules Verne e Isaac Asimov ne sarebbero entusiasti.
I quindici autori del libro — patrocinato dall’Agenzia Spaziale Italiana e dal CNR — offrono una visione plurale quanto accurata sulle nuove frontiere stellari. Pagina dopo pagina, il lettore scoprirà aspetti inediti o/e poco conosciuti dell’epopea extra orbitale. Ma non solo. Il volume presenta, accanto ai formidabili fattori scientifici, la straordinaria importanza della dimensione economica e militare della “Grande Partita” stellare. Come annota nel suo saggio Andrea Marcigliano «oggi la “geopolitica dello Spazio” è parte necessaria ed ineludibile di qualsiasi strategia geopolitica e militare tout court. Il controllo dei Grandi Spazi terrestri necessita obbligatoriamente di una controparte dei Vasti Spazi stellari».
Un capitolo di questa fascinosa e misconosciuta ventura è italiano, orgogliosamente italiano. Come sottolineano nei loro interventi Augusto Grandi, Pier Francesco Guarguaglini e Samantha Cristoforetti — prossima inquilina della Stazione spaziale internazionale e prima astronauta italiana —, la nostra ammaccata Patria in questo settore d’eccellenza ricopre un ruolo assolutamente non marginale. Lo conferma lo sforzo — anch’esso dimenticato — della nostra base San Marco (da cui s’innalzò nel 1964 il primo satellite europeo, un satellite tutto tricolore…) incardinata al largo delle coste africane, lo ricordano i risultati importanti dell’industria aerospaziale nazionale, sesta al mondo e quarta in Europa. Grazie al lavoro di 40mila addetti — sparsi tra Lombardia, Piemonte e Campania — e importanti investimenti in ricerca e sviluppo, il settore fattura ogni anno oltre otto miliardi di euro e consente all’Italia una presenza importante su un fronte strategico, decisivo. Forse è tempo di tornare a guardar le stelle…

di Marco Valle, da Il Secolo d'Italia

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