Libia: arrivano gli Yankees


La storia dimostra ancora una volta che non è sufficiente essere neri per essere simbolo di pace e di cambiamento. Ancora una volta Obama si dimostra un flop mediatico dando seguito ad una politica guerrafondaia che trascina l’America nell’ennesimo conflitto tutto dal sapore economico e finanziario. A fargli compagnia un presidente liberale francese, ai minimi storici per politica interna e stabilità, tanto è che ad oggi secondo i sondaggi sarebbe surclassato in un eventuale contesto elettorale. Il risultato di questa esplosiva combinazione è che senza sapere ne perché ne per come l’Italia viene trascinata in un orripilante conflitto contro chi fino a ieri era stato un ospite d’onore nello stivale. Dal professor Prodi a Berlusconi Gheddafi è sempre stato considerato l’alternativa energetica alla Russia. E allora, proprio oggi dopo pochi mesi dal “campeggio” del leader libico eccoci pronti a mobilitare caccia e a diffondere lo stato di massima allerta presso i principali aeroporti militari. In Sardegna già sono caldi i motori degli aerei da guerra spagnoli, pronti anch’essi all’ordine. Ma cosa più curiosa è che la Francia, dopo anni di sostegno ai governi corrotti di Tunisia e Egitto, ha capito che la convenienza inizia ad essere tutta verso il popolo ribelle. In un certo senso preferisce accelerare il corso degli eventi. Il vantaggio? Quando questa farsa sarà terminata i nuovi governi laici non potranno che rendere grazie a chi in questa battaglia li ha sostenuti. E da che mondo è mondo in politica il “grazie” si traduce in vantaggi economici. I contratti di fornitura e volti alla ricostruzioni sventoleranno un bandiera tutt’altro che italiana. Ecco, per l’ennesima volta l’Italia insegue qualche folle presidente animato da interessi tutti suoi, lontano dal bene della nazione. Una volta ancora ci siamo dimostrati schiavi di un Europa, intromettendoci ancora una volta con le nostre dittature camuffate da democrazie. Ieri come oggi, come nel golfo, come nel Iraq e come nell’Afghanistan è sempre il dollaro a muovere quei dannati aerei. E mentre noi stiamo qua sulle nostre sedie a navigare in internet ed a studiare sui nostri libri di scuola, la guerra si combatte sul campo di chi già la miseria la conosce. Con i razzi, con gli aerei e con le navi. Abbiamo impedito ancora un processo di autodeterminazione di un popolo alterando i fatti e imponendo le nostre bandiere. Sempre perché l’unica sete che i nostri leader possiedono (Americani in testa) è la sete di quell’oro nero e il timore dello sviluppo dei poveri e degli indigenti. E intanto la gente muore.

di Federico Balìn

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