È il giorno del ricordo proibito. O meglio, del ricordo che qualcuno
vorrebbe proibire. A maggior ragione noi ne parliamo senza veli e senza
ipocrisie, senza sconti nei confronti di chi si veste ancora da giudice
censore (l’Anpi) o di chi vuole ancora agitare il vecchio fantasma
dell’antifascismo a scopi politici (la sinistra). La strage di Acca
Larenzia resta una delle pagine peggiori degli anni di piombo e così
dovrebbe essere letta da tutti, senza distinguo. Le vittime erano
ragazzi, semplicemente ragazzi, che furono uccisi a sangue freddo mentre
uscivano da una sezione del Msi. La loro unica colpa, essere di destra.
Era il 7 gennaio 1978. Da allora tutto è cambiato tranne
l’atteggiamento delle associazioni di partigiani e della sinistra che
s’illudono di imporre la damnatio memoriae perché – per loro – quando si
tratta di giovani di destra non esiste una verità consolidata, tutto va
sempre rimesso in discussione, spuntano ombre, sospetti, magari faide
interne. E se queste ombre non vengono fuori, fa lo stesso perché
l’obiettivo è cancellare la nostra storia, perché è una storia che dà
molto fastidio, soprattutto alle loro coscienze. Non è una questione di
fascismo e antifascismo: la destra degli anni Settanta era l’unica che
cercava di tirare fuori dal fango quei valori scivolati nell’oblio, sui
quali oggi in molti vorrebbero mettere le mani. Era la destra che non
credeva ai dogmi imposti, che reagiva all’arco costituzionale, che
sopravviveva alla criminalizzazione e al ghetto. Era la destra che aveva
coraggio. Quel coraggio che manca oggi a una certa destra che riesce a
dividersi anche sulla commemorazione di Franco, Francesco e Stefano,
prestando il fianco a critiche solo per una questione di stellette,
“quelle vittime appartengono a noi”, “no, sono nostre”. Svegliatevi,
sono vittime che appartengono a un’intera comunità politica e che
dovrebbero appartenere a tutto il Paese, se l’Italia fosse un Paese
normale. Proprio per questo, invece di spaccarci, facciamo in modo che
non la spunti chi vuole la damnatio memoriae.
Girolamo Fragalà, Il Secolo d'Italia
Girolamo Fragalà, Il Secolo d'Italia
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