Caro Monti, tutto qua?

Non ci resta che tornare alle fulminanti battute di Flaiano e Prezzolini. «La situazione è tragica ma non è seria», ripeteva il primo. «L’Italia va avanti perché ci sono i fessi», aggiungeva il secondo.
Quello che sta accedendo in queste ore ha dell’incredibile. È in atto un tam tam mediatico, una sinfonia di conformismo, che presenta le ultime misure del governo Monti come se si trattasse di provvedimenti risolutivi.
Basta, invece, una modesta capacità di osservazione e un po’ di onestà intellettuale per affermare che la montagna ha partorito il classico topolino. Ma davvero possiamo pensare che facendo coincidere la data di scadenza della carta d’identità con la data di nascita, si sollecita il Pil, si rimette in moto la crescita, si guadagna in competitività? Il professor Monti dall’alto della sua presunzione accademica crede che gli italiani abbiano l’anello al naso? Per inciso, a volte si ha l’impressione che il “professore” è accademico ma non sia colto, di letture monotematiche , privo di una visione d’insieme e di adesione alla realtà.
Siamo nel regime del politicamente corretto e a leggere i giornali, sembra che stiamo tutti naso all’insù e bocca spalancata. Monti ha affermato che il primo pacchetto di provvedimenti valeva 12 punti di Pil in più. Ora quanto ci daranno le nuove misure, magari altri 10 punti? E siamo a 20. Questa è l’apoteosi della barzelletta, altro che Berlusconi.
Lo stesso ministero dello Sviluppo Economico ha riconosciuto, qualche settimana fa, che in Italia sono a rischio 300 mila posti di lavoro nell’industria, mentre l’Istat certifica che un giovane su tre non riesce a trovare lavoro. Davvero pensiamo che il questa tragica dimensione possa essere corretta da 2.000 tassisti in più, 500 farmacisti e 500 notai? Oppure scatenando la guerra al ribasso fra gli avvocati e i commercialisti, categorie già proletarizzatesi?
Caro Professor Monti, c’è da dubitare della sue qualità accademiche. Lo scenario globale degli ultimi due decenni è segnato dallo spostamento della ricchezza da Occidente verso l’Oriente; tre miliardi di individui, peraltro legittimamente, sono entrati nel mercato e nella produttività manifatturiera. In questo contesto l’Italia che – ricordiamolo – può vivere solo di economia di trasformazione e turismo, non avendo materie prime e grandi spazi, ha visto uno spaventoso impoverimento del suo apparato produttivo, un depauperarsi della capacità innovativa, l’uscita rovinosa da comparti nei quali eravamo stati leader.
Qualche esempio per capire. Negli anni Sessanta e Settanta l’Olivetti era leader mondiale delle macchine per ufficio, non solo, Adriano Olivetti fece realizzare a Ivrea il primo computer superveloce. L’azione nefasta di raider della finanza ha distrutto le intuizioni di questa impresa che avrebbe potuto essere quello che sono oggi la Apple o la Microsoft. Avevamo la Sme, una grande holding agroalimentare del livello della svizzera Nestlé. In Italia la Telettra di Torino realizzò il primo telefono portatile, oggi siamo grandi consumatori di telefonia mobile ma non produciamo nulla. Telecom era una grande azienda delle telecomunicazioni, oggi è affogata dai debiti. Siamo usciti dall’hi-fi, dall’elettronica, dalle macchine industriali, settori che erano stati la nostra ricchezza. Rischiamo anche nella moda e nel lusso, i francesi fanno shopping di imprese italiane (Bnl, Parmalat, Bulgari) che svuoteranno e porteranno oltralpe.
Se scorriamo la classifica annuale del Financial Times sulle grandi corporation, scopriamo che non c’è più alcuna azienda italiana. Una volta c’erano l’Iri, la Fiat, l’Eni. E il governo dei banchieri progetta l’ultimo assalto alla diligenza, per mettere nelle mani dei soliti noti gli ultimi scampoli di impresa pubblica.
In altre parole, abbiamo subito una spaventosa regressione industriale e produttiva che ha significato un ingente spostamento dal lavoro produttivo a quello improduttivo con la pubblica amministrazione dilatata all’inverosimile.
Gli imprenditori pugliesi hanno scritto in un loro documento ufficiale che costa più portare un containers da Bari al porto di Gioia Tauro, senza rete ferroviaria e strade impervie, che da questo scalo marittimo a quello di Londra. Abbiamo un’edilizia ospedaliera datata ai primi del Novecento, la rete ferroviaria si ferma a Napoli, non ci sono programmi di risanamento ambientale, il patrimonio artistico cade a pezzi, non esiste un piano energetico nazionale, per non dire di internet e banda larga, le connessioni wi-fi scarseggiano.
Occorrerebbe lanciare un grande programma di opere pubbliche, capaci di modernizzare il Paese, più che elargire qualche contributo a fondo perso (come si appresta a fare Passera) a qualche finto imprenditore proprietario di giornali. Ricordiamo: con la stessa quantità di finanziamenti a fondo perso che lo Stato italiano ha elargito alla Fiat negli ultimi quarant’anni si poteva comprare la Toyota, il primo gruppo automobilistico mondiale.
Occorrerebbe modernizzare le relazioni industriali, il mercato del lavoro, far tacere l’ambientalismo del “non fare” che fa danni all’ambiente, immettere nei gangli del paese rigore e serietà.
Davvero, in questo scenario si pensa di far ripartire l’Italia con i certificati on line? Per carità cose utili. Ma non prendiamoci in giro. Gli studenti universitari già da un decennio hanno la tesserina magnetica. E queste cose in un grande Paese le decide il direttore di un ministero, non c’è bisogno di fare il consiglio dei ministri!

di Giuliano Spada, da Destra.it

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