Nell’indifferenza delle diplomazie di tutto il mondo
in Tibet si continua a morire per la libertà.Nei giorni passati altri
giovani si sono immolati per gridare al mondo che l’oppressione cinese è
sempre più pesante e che i grandi valori spirituali del popolo
himalayano non possono essere totalmente annientati dal materialismo
liberal-comunista di Pechino.
Nel nostro mondo occidentale – secolarizzato e globalizzato – regna la totale indifferenza per tutto ciò che non è consumismo, tanto che le tensioni ideali sono state completamente abbandonate per lasciare spazio all’edonismo ed all’apparenza. La globalizzazione ha omologato tutto e sta cercando di distruggere definitivamente la dignità dei popoli, il loro senso di appartenenza e le specifiche identità.Il gesto dei giovani tibetani non può essere considerato solamente come un fatto di cronaca, ma deve avere, al contrario, la dignità di un evento politico sul quale rimettere in moto la grande ed immutabile battaglia per la libertà dei popoli e per la loro autodeterminazione: di fronte al dilagare del conformismo e dell’appiattimento del mondo contemporaneo, c’è la necessità di costruire un nuovo progetto meta-politico fondato sugli immortali valori della spiritualità e della libertà.
Soltanto attraverso la ricerca del mito, del sacrificio, del coraggio e della lealtà le giovani generazioni occidentali potranno “uscire dal bosco” del torpore e dell’indifferenza e ritrovare esempi per cui valga la penatornare a lottare. Le motivazioni che oggi spingono I giovani tibetani a sacrificarsi per la libertà della propria patria sono le stesse che mossero JanPalach e Bobby Sands; tanto che se oggi a Praga o a Belfast si vive liberi e senza discriminazioni lo si deve anche al sacrificio dei due giovani europei. Allo stesso modo, se un domani a Lhasa si potrà vivere in libertà e secondo i valori secolari della tradizione del popolo tibetano lo si dovrà anche al coraggio di coloro che in questi anni si sono sacrificati per far tornare la libertà in Tibet e per rompere le catene della dominazione cinese. Lottare per la libertà del popolo tibetano vuol dire, anche e soprattutto, combattere il nuovo ordine mondiale che vede saldare il turbo capitalismo dell’alta finanza e delle multinazionali con l’egualitarismo illuminista: entrambi spinti da principi economici e finanziari, stanno dettando le regole della globalizzazione, producono l’omologazione planetaria e distruggono le identità ed i popoli.Dopo aver superato i muri e le contrapposizioni ideologiche del secolo “breve”, abbiamo il dovere di superare il pensiero unico della globalizzazione attraverso la riscoperta del senso di appartenenza. Proviamo a farlo anche in nome delsacrificio dei giovani tibetani.
di Stefano Olimpieri
Nel nostro mondo occidentale – secolarizzato e globalizzato – regna la totale indifferenza per tutto ciò che non è consumismo, tanto che le tensioni ideali sono state completamente abbandonate per lasciare spazio all’edonismo ed all’apparenza. La globalizzazione ha omologato tutto e sta cercando di distruggere definitivamente la dignità dei popoli, il loro senso di appartenenza e le specifiche identità.Il gesto dei giovani tibetani non può essere considerato solamente come un fatto di cronaca, ma deve avere, al contrario, la dignità di un evento politico sul quale rimettere in moto la grande ed immutabile battaglia per la libertà dei popoli e per la loro autodeterminazione: di fronte al dilagare del conformismo e dell’appiattimento del mondo contemporaneo, c’è la necessità di costruire un nuovo progetto meta-politico fondato sugli immortali valori della spiritualità e della libertà.
Soltanto attraverso la ricerca del mito, del sacrificio, del coraggio e della lealtà le giovani generazioni occidentali potranno “uscire dal bosco” del torpore e dell’indifferenza e ritrovare esempi per cui valga la penatornare a lottare. Le motivazioni che oggi spingono I giovani tibetani a sacrificarsi per la libertà della propria patria sono le stesse che mossero JanPalach e Bobby Sands; tanto che se oggi a Praga o a Belfast si vive liberi e senza discriminazioni lo si deve anche al sacrificio dei due giovani europei. Allo stesso modo, se un domani a Lhasa si potrà vivere in libertà e secondo i valori secolari della tradizione del popolo tibetano lo si dovrà anche al coraggio di coloro che in questi anni si sono sacrificati per far tornare la libertà in Tibet e per rompere le catene della dominazione cinese. Lottare per la libertà del popolo tibetano vuol dire, anche e soprattutto, combattere il nuovo ordine mondiale che vede saldare il turbo capitalismo dell’alta finanza e delle multinazionali con l’egualitarismo illuminista: entrambi spinti da principi economici e finanziari, stanno dettando le regole della globalizzazione, producono l’omologazione planetaria e distruggono le identità ed i popoli.Dopo aver superato i muri e le contrapposizioni ideologiche del secolo “breve”, abbiamo il dovere di superare il pensiero unico della globalizzazione attraverso la riscoperta del senso di appartenenza. Proviamo a farlo anche in nome delsacrificio dei giovani tibetani.
di Stefano Olimpieri
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