Delitto di via Poma, assolto Raniero Busco Dopo 22 anni non c'è ancora un colpevole

Dopo la condanna a 24 anni nel processo di primo grado, arriva per Raniero Busco l'assoluzione per non aver commesso l'omicidio dell'ex fidanzata Simonetta Cesaroni. Entro 90 giorni il collegio renderà note le motivazioni che hanno portato alla riforma della sentenza. Busco lascia l'aula insieme alla moglie e al fratello e viene colto da un malore. La difesa: "Finalmente è stata fatta giustizia. Contro di lui nessun elemento"

La Corte d'Assise d'Appello del Tribunale di Roma ha deciso sull'omicidio di via Poma, assolvendo con formula piena Raniero Busco, l'ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, imputato di omicidio.
La Cesaroni era stata uccisa il 7 agosto 1990, massacrata da 29 coltellate e ritrovata nel palazzo di via Carlo Poma n. 2 a Roma. Busco era stato condannato nel processo di primo grado a 24 anni di reclusione. Salvo oggi essere assolto, per non avere commesso il falso.

Sull'assoluzione, il collegio presieduto da Renato d'Andria, ha comunicato che depositerà entro 90 giorni le motivazioni che hanno portato a riformare la sentenza.
Busco, in aula con la moglie, Roberta Milletari, accanto a lui in tutte le udienze del processo, ha lasciato l'aula in lacrime da un'uscita secondaria, accompagnato dalla Milletari e dal fratello e salutato da un applauso scrociante da parte di un folto gruppo di amici e parenti presenti. Per la forte emozione ha avuto un lieve malore.
Paolo Loria, difensore di Busco ha commentato la sentenza, sottolineando che il suo cliente "ha pianto e basta". "Questa sentenza rappresenta un grande sollievo - ha sottolineato - e significa che bisogna avere fiducia nella giustizia e che il processo d’appello ha ancora un suo valore. Contro Busco non c’erano proprio elementi".
Angelo Fiori, medico legale che aveva fatto da perito per il delitto, ha sottolineato come l'assoluzione di Busco fosse in realtà attesa, perché all'epoca non erano state considerate tutte le prove, dando troppa importanza al solo Dna. Già all'epoca del delitto - ha proseguito - era emerso che il sangue trovato sulla porta era incompatibile con il gruppo di Busco, basandosi sul morso trovato sul seno della ragazza, ma non considerando che il Dna trovato era di tre persone differenti, non del solo Busco.
Massimo Lauro, difensore di parte civile per Anna Di Giambattista, madre della Cesaroni, ha sottolineato la decisione della corte parlando di una sentenza che ha "profondamente sorpreso".

di Lucio di Marzo, da Il Giornale

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