Azione combinata a Palazzo Madama e Montecitorio. Crescita e lavoro sono le parole-chiave che il Pdl mette nell’agenda del governo, chiarendo che o si cambia registro o il sostegno ai Prof. potrebbe mutare. Non è ancora un vero e proprio ultimatum, piuttosto è un’alzare l’asticella e cercare di condizionare le scelte di Palazzo Chigi su due dossier strategici per lo sviluppo. Che ancora non c’è. E tuttavia è quanto basta per fa capire come il partito che ha più voti in parlamento (ma l’insofferenza è bipartisan) sia determinato a imprimere una svolta di legislatura.
Al Senato la maggioranza approva una risoluzione che detta tempi e contenuti del pacchetto anti-recessione: deciso intervento per abbattere il debito pubblico mediante un piano straordinario di dismissioni del patrimonio pubblico; riduzione del differenziale di rendimento dei titoli italiani e quelli tedeschi grazie alla ridotta necessità di nuove emissioni, ma soprattutto una “sistematica revisione della spesa pubblica (spending review)” le sui risorse dovranno essere destinate “prioritariamente alla riduzione della pressione fiscale”. Il tutto entro settembre e fermo restano il pareggio di bilancio nel 2013.
Nel documento che impegna l’esecutivo, firmato dai capigruppo Gasparri (Pdl), Finocchiaro (Pd), Francesco Rutelli (Api) e Giampiero D’Alia (Udc) si ribadisce la necessità di continuare l’impegno nelle riforme strutturali, come sul federalismo fiscale, definire i costi standard per il servizio sanitario nazionale e fabbisogni e costi standard per gli enti locali. Nell’elenco degli obiettivi ‘non rinviabili’ c’è poi il capitolo degli investimenti nelle infrastrutture “sia delle grandi reti transeuropee che gli investimenti in opere pubbliche anche da parte degli enti locali”. Non solo: particolare attenzione alle politiche per la famiglia in grado di fronteggiare la crisi demografica, arrestare l'aumento della povertà e contrastare la disoccupazione giovanile, implementare servizi alla persona per innalzare i livelli di occupazione femminile. Infine: valorizzare il ruolo della Cassa Depositi sia nell'ambito della cessione del patrimonio pubblico, sia per trovare le risorse che servono alle politiche di investimento e al pagamento dei debiti pregressi della pubblica amministrazione. Quasi un programma di cose da fare indirizzato al ministro Passera, da qualche tempo finito nel mirino del malcontento non solo tra le forze di maggioranza ma tra gli stessi colleghi di Palazzo Chigi. Come a dire: per ora solo annunci.
Stesso clichè alla Camera. La maggioranza approva una risoluzione al Def per dire che le risorse della spending review e i proventi della lotta all’evasione fiscale devono andare alla riduzione delle tasse “sui redditi da lavoro e da impresa, con l’idea di un nuovo patto tra fisco e contribuenti da ridefinire nell’ambito della riforma fiscale.
La stessa sollecitazione che arriva anche dalle parti sociali. L’appello di Bonanni suona più come un monito che come auspicio:bisogna cambiare aria, darsi da fare, fare un patto. A Monti chiediamo un patto tra governo centrale, amministrazioni locali e parti sociali e politiche”. E sul debito il leader Cisl va al punto: Bisogna ridurlo vendendo i beni di Stato. Occorre garantire il credito d’imposta per chi investe e abbassare le tasse per lavoratori e pensionati, perchè le troppe tasse stanno strangolando il Paese.
L’altro fronte aperto e non scollegato dal sì al Def, riguarda il ddl lavoro, già all’esame di Palazzo Madama con al seguito qualcosa come più di mille emendamenti. E se Fornero e Monti chiedono alla maggioranza di fare in fretta, il Pdl frena e arriva perfino a mettere in predicato il voto sul provvedimento se dal governo non arriverà un cambio di rotta “sostanziale” sulla flessibilità in entrata. Gasparri depone il fioretto quando dice che su quel testo molte cose vanno cancellate, altre corrette. “Se ciò, come speriamo avverrà, daremo un contributo a una rapida approvazione del ddl. Se non dovesse avvenire, lo diremo con chiarezza. Il governo non potrà contare sull’appoggio del Pdl se insiste su norme che distruggerebbero l’occupazione anziché crearla”. La preoccupazione maggiore è la disoccupazione giovanile ritenuta ormai a livelli “intollerabili”. Si attendono risposte “ad horas”, ma è chiaro che il clima tenda al burrascoso.
Monti lo sa e da Bruxelles prova a calmare le acque, anche se per ora non coniuga azioni precise alla parola “crescita” che pure mette in cima alle cose da fare parlando davanti all’European business summit. Prima a Berlino con la Merkel, poi a confronto con gli altri partner europei per tentare una moral suasion. Non si sbilancia il Prof. su ricette specifiche perché “non è ancora il momento” e questo in Italia non viene letto come un segnale che va incontro alle sollecitazioni dei partiti. Monti fa capire che potrebbe esserci una revisione del patto di stabilità in stretto raccordo con la Germania e tuttavia chiarisce che “non c’è all’ordine del giorno una revisione del fiscal compact”. Tuttavia, il futuro del trattato potrebbe dipendere dall’esito delle presidenziali francesi (domenica prossima): una eventuale vittoria di Hollande potrebbe infatti riaprire i giochi visto che il candidato all’Eliseo è uno dei più strenui oppositori al trattato ‘benedetto’ (alias imposto) dalla Merkel.
Il Prof. di Varese ci prova con l’Ue, ma a Roma non convince. Specialmente nel giorno dello scivolone con relativo dietrofront sull’acquisto di quattrocento auto blu. Rigore a senso unico.
di Lucia Bigozzi, dall'Occidentale
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