Mentre due ali di folla festante accompagnano il corteo trionfale di François Hollande
verso l’Eliseo per l’insediamento ufficiale, gran parte della stampa
d’oltralpe sembra ancora intenta a metabolizzare il risultato della
tornata elettorale primaverile. Il dato delle elezioni dello scorso
aprile consegna un Paese stanco del gollismo esuberante di Sarkozy e, al contempo, profondamente impaurito. Ne è un segno tangibile l’avanzata dei partiti più estremi della scena politica francese.
Da una parte il balzo del Front de Gauche,
contenitore elettorale che unisce le varie anime della sinistra più
intransigente (dal Partito Comunista agli “scissionisti” socialisti): il
suo candidato, Jean-Luc Mélenchon, ha ottenuto l’11,1%
delle preferenze, quasi doppiando la percentuale raggranellata dai suoi
alle Regionali del 2010 (5,9%). Dall’altra, lo straordinario exploit
del Front National di Marine Le Pen.
Attribuire il 17,90%
conquistato dagli alfieri del Nazionalismo tricolore ad un puro evento
contingente legato alla crisi è, tuttavia, quantomeno riduttivo. Se è
innegabile che il diffuso euroscetticismo abbia finito per favorire ovunque quelle formazioni che ne fanno un proprio valore fondante, altrettanto evidente appare la crescita costante del Fronte Nazionale da cinque anni a questa parte.
Fondato nel 1973 per mano di Jean-Marie Le Pen, il partito ha subìto per oltre un decennio la forte concorrenza a destra da parte del PFN (Parti de Forces Nouvelles, altra costola dell’ormai disciolto Ordre Nouveau): bisogna aspettare il 1984 perché il Front National
riesca a far eleggere due suoi candidati nel Parlamento Europeo. La
breve parentesi del ritorno al proporzionale per la scelta dei membri
dell’Assemblea Nazionale consente al FN di portare sugli scranni di Palais Bourbon ben 35 deputati alla tornata del 1986. Da allora l’ascesa è stata pressocché ininterrotta, nonostante il sistema elettorale francese sia risultato spesso un ostacolo insormontabile: l’alta soglia di sbarramento
(12,5% degli aventi diritto al primo turno) che contraddistingue il
maggioritario transalpino ha finito in molte occasioni per lasciare
senza eletti il FN, vanificando le ottime percentuali ottenute. È prassi
consolidata che, qualora un candidato del FN superi il primo turno in
un collegio, gli elettori moderati compattino i propri voti contro di
lui, appoggiando il suo avversario indipendentemente dalla provenienza
partitica. Questo meccanismo è stato alimentato nel tempo anche dalle
scelte dei principali partiti di destra, che hanno sempre rifiutato accordi con Le Pen.
A partire dagli ’90, il Front National fa perno sul suo ruolo da “terzo incomodo” per attaccare duramente sia i socialisti che gli eredi del gollismo: sfruttando i malumori successivi al Trattato di Maastricht e calcando la mano sul diffuso risentimento
verso la burocrazia europea, al primo turno delle elezioni del 1993 il
FN ottiene il 13% dei consensi, aumentando di circa quattro punti
percentuali il dato della tornata precedente. Ancora una volta tuttavia
nessun candidato viene eletto.
Nel 1997 solo un deputato riesce a
entrare in Parlamento, nonostante il 14,9% ottenuto dal partito in tutto
il Paese. Alle amministrative dell’anno successivo il Fronte Nazionale
tocca il suo massimo storico, prima che una serie di scissioni interne (tra cui la fondazione del Movimento Nazionale Repubblicano da parte di Bruno Mégret) minino l’unità del partito.
Una situazione per certi versi simile a quella odierna è il clamoroso successo che Le Pen ottiene alle elezioni presidenziali del 2002: complice la débâcle del candidato socialista Jospin,
il leader nazionalista arriva al ballottaggio contro Chirac e si
ritrova a fronteggiare l’unione di tutte le altre forze politiche, non
riuscendo tuttavia a migliorare in modo sostanziale il risultato del
primo turno (17%). L’impatto mediatico e politico rimane comunque
straordinario, con ogni probabilità superiore anche a quello che seguirà
il trionfo della figlia dieci anni dopo.
Confermando l’appeal di partito di
“protesta” ma non di governo, il FN scende all’11,3% nelle consultazioni
per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale il 9 giugno successivo. Un trend profondamente aggravato dal crollo
alle elezioni legislative del 2007: l’avvento di Sarkozy fagocita
infatti i voti dell’intero universo conservatore francese e il Fronte
scese al 4,4%.
La nomina di Marine Le Pen
alla guida del partito nel gennaio del 2011 ha nuovamente cambiato le
carte in tavola: i primi segnali di ripresa si erano già intravisti alle
elezioni regionali del 2010 (12% su scala nazionale) e il malcontento
verso l’immagine dell’allora inquilino di Rue du Faubourg-Saint-Honoré ha fatto il resto.
Ciò che preoccupa maggiormente i politologi della République è quindi il risultato che potranno avere le elezioni legislative del prossimo 10 giugno: i primi sondaggi post-presidenziali
delineano uno scenario da incubo per l’UMP (intorno al 30% al primo
turno, quasi 10 punti in meno rispetto al 2007) mentre la “non scelta”
al ballottaggio Hollande-Sarkozy è stata particolarmente apprezzata
dall’elettorato del FN, che si conferma al 18%. Facile prospettare una vittoria a mani basse del Partito Socialista,
anche se peseranno molto le prossime scelte nel neoeletto Presidente:
la sua sfilata sotto la pioggia per le vie di Parigi, a bordo di una
Citroën elettrica ben più sobria della sfavillante Peugeot 607 Paladine
del suo predecessore, non sembra per ora aver fatto troppo breccia nei
cuori degli elettori di Marine Le Pen.
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