I risultati delle amministrative indicano che gli elettori Pdl non
sono andati a votare, o, quando sono andati, come a Parma, hanno votato
Grillo, non il Terzo Polo. Poiché l’obiettivo di Fini, Casini e Rutelli
erano gli elettori del Pdl, il fatto che il Terzo Polo non sia
decollato, mostra che gli elettori Pdl, pur confusi, delusi, frustrati,
arrabbiati, non sono attratti da questa nuova offerta politica.
Il successo di Grillo, con la crisi del Pdl era prevedibile: il M5S è un mix di Tea Party e indignati, la protesta antitasse e antipartitica fa parte del dna del centrodestra, è quindi comprensibile abbia avuto voti da elettori Pdl. Il periodo attuale somiglia al ’92-’93. Alle politiche del ’92 la Dc crollò, ma gli elettori Dc nel ’94 non andarono né a sinistra né col Partito Popolare di Martinazzoli, votarono Forza Italia e fu una svolta storica difficile da cancellare in un colpo, pur con tutte le negatività attribuibili al Pdl e a Berlusconi.
La proposta di Alfano e Berlusconi dell’elezione diretta del presidente della Repubblica fa parte della cultura politica del centrodestra e i tempi sono maturi, sia per la richiesta all’Italia di una governance più forte domandata tante volte dall’Ue e al Fmi, sia perché la repubblica presidenziale è già in corso con Napolitano e si tratta di ratificarla. La proposta di riforma presidenziale alla francese potrebbe risultare soltanto un’operazione di maquillage, come avverte Panebianco, se a essa non si accompagna un rinnovamento del Pdl. Non è necessaria soltanto una ristrutturazione, come indica Panebianco, ma anche mettere in campo personalità competenti per sottolineare i limiti dell’attuale processo di unificazione europea e di attrarre intelligenze dalle quali soltanto può venire una riflessione apprezzabile anche all’estero sugli interessi dell’Italia e dell’Unione.
Per la posizione geopolitica l’Italia è un paese a cui si presta sempre attenzione, perché i suoi cambiamenti repentini sono sempre collegati allo scenario internazionale. Il periodo attuale assomiglia al ’92-’93, quando la Dc crollò alle elezioni e Ciampi introdusse la riforma elettorale da cui uscì il maggioritario. Nel ’92-93 arrivarono i normalisti, nel 2011 sono arrivati i bocconiani. Lo scenario internazionale, però, è completamente diverso da quello dei governi Ciampi e Amato, il cui compito era cambiare sistema elettorale e metterci nelle condizioni di firmare il trattato di Maastricht, l’anticamera dell’Unione europea e dell’euro. Adesso l’euro sta crollando. Allora era finita l’Unione sovietica, era iniziata la globalizzazione, gli americani avevano già fatto la prima guerra contro l’Iraq e si preparavano alla guerra contro gli stati canaglia ( Iraq, Afghanistan, Iran, Libia, Siria), mentre Prodi preparava l’allargamento dell’Unione a est, l’ingresso nell’Ue e nella Nato dei paesi dell’ex blocco sovietico.
Adesso invece siamo nel caos globale, perché gli Stati Uniti sono in crisi e perché in questi due decenni sono emerse nuove potenze come la Cina, la Russia, l’India, il Brasile, il Sudafrica, la Turchia, per non parlare del risveglio arabo. La globalizzazione si sta dissolvendo nella guerra liquida per il controllo dell’energia e dell’Asia, i governi europei hanno ceduto il potere alla finanza sovranazionale, i cittadini però chiedono alla politica locale la soluzione dei problemi in Europa. Se non affrontiamo la crisi dell’Unione, ne saremo travolti, e questo è un obiettivo che dovrebbe porsi il centrodestra, perché è in gioco il futuro dell’Italia e dell’Europa.
Per uscire dalla crisi attuale, dovremmo renderci conto – e qui avremmo bisogno di energie intellettuali, che ci sono e non sono state valorizzate – che la guerra fredda non è riducibile allo scontro tra comunismo e capitalismo (si pensi solo all’alleanza negli anni ’70 tra America del Nord e Cina), così come l’intervento americano non fu soltanto una guerra per la democrazia. Sono state guerre tra coalizioni geopolitiche e grandi imperi, di cui le ideologie e i diversi modelli sociali sono stati laboratori di pensiero strategico, campi di battaglia e strumenti di guerra psicologica. La crisi dell’Unione si risolve se cominciamo a liberarci dagli stereotipi del secolo scorso, primo fra tutti quello che l’economia faccia gli uomini e non il contrario, come ha osservato di recente Gian Arturo Ferrari sul Corriere.
Monti è competente e da tenere di conto, come chiede Ferrara: ha un’esperienza internazionale da rendersi sicuramente conto dei limiti dell’Unione. La crisi dell’euro è la spia del possibile sfarinamento dell’Unione, che con la riconciliazione franco-tedesca, la riunificazione della Germania e la fine dell’Unione Sovietica aveva perso lo scopo della sua esistenza. Dopo la fine dell’Unione Sovietica, l’Europa occidentale con l’Unione e l’euro si è proposta come attore globale, ma è rimasta un’appendice degli Stati Uniti e questo ha impedito all’euro di espandersi, di essere adottato dai paesi africani e arabi, l’unica zona d’influenza rimasta all’Europa. L’Unione non ha neppure provato ad agganciare la Russia, cristiana ortodossa come la Grecia, e il paese più esteso del mondo, con risorse energetiche quasi illimitate.
Durante la guerra di Libia si è visto come l’Unione sia pronta a dividersi: l’asse Obama-Sarkozy-Cameron non è stata solo contro la Libia, ma anche contro l’Italia, non abbastanza forte per opporsi alla no-fly zone, contro i successi della Cina in Africa e contro la Federazione russa, contro la quale si sta combattendo una dura guerra nel Caucaso e nel Mediterraneo, dove gli americani stanno schierando missili per difendere l’Unione dalla Russia per essere loro a venderci l’energia. Né l’Unione, né i media europei discutono di questi problemi. Non ne parlano neppure i media tedeschi, anche se l’ex cancelliere Schröder lavora per Gazprom a capo del consorzio Nord Stream per costruire un gasdotto che collegherà la costa russa a quella tedesca attraverso il Mar Baltico. Così, dei russi e cinesi che fanno esercitazioni navali insieme, a cui Beijing dà grande risalto mediatico, come qualche mese fa del trattato commerciale finanziario cino-giapponese o delle dimissioni dell’ambasciatore americano Ryan Crocker a Kabul, preludio del ritiro della Nato nel 2013, veniamo a saperlo da Reuters.
Il silenzio dell’Unione su questi temi in cui sono in gioco interessi vitali europei mostra i limiti dell’Europa di Bruxelles. Per questo, il centrodestra dovrebbe riprendere a Bruxelles l’obiettivo di De Gaulle dell’Europa dall’Atlantico agli Urali. De Gaulle voleva recuperare la Russia per fare diventare il Vecchio Continente di nuovo protagonista. Come è noto, nel ’67 De Gaulle uscì dalla Nato, fece ritirare le basi statunitensi dalla Francia, pur mantenendo fede al trattato Nato, e la Francia vi è rientrata solo nel 2007 con Sarkozy, che non è stato rieletto. Mentre gli inglesi accettarono sia pure a malincuore la fine dell’impero, crearono il Commonwealth, aprirono all’immigrazione, imitando le ex-colonie d’Oltremare, De Gaulle capì che gli Stati Uniti volevano la decolonizzazione per sostituirsi agli europei.
Nel ’57-58 vi fu anche il tentativo di costruire un’atomica franco-tedesca-italiana, che avrebbe potuto creare un’Europa ben diversa da quella attuale. Avere sostituito strateghi ed esperti di geopolitica con economisti, ha portato all’Unione attuale, in balia dei giudizi delle agenzie di rating. L’euro non ha mai creato grandi preoccupazioni agli Stati Uniti, perché l’Unione è politicamente e militarmente un nano e non sarà mai un gigante neppure costruendo un superstato, perché sostanzialmente impotente, non avendo una difesa.
I nostri editorialisti e commentatori non si sono ancora resi conto che il Giappone ha un debito che è il doppio del Pil, ma anche con la perdita della tripla A non ha subito il bombardamento riservato dalle agenzie di rating agli stati europei, perché il Giappone è essenziale al piano di contenimento della Cina di Obama. L’alleanza tra Cina e Stati Uniti iniziata negli anni ’70, da un’America indebolita dal Vietnam, senza più riserve auree, dimostra che il conflitto tra capitalismo e comunismo non era poi tanto importante in Asia come in Europa e che fondamentali erano soprattutto i problemi geopolitici. Poiché le alleanze cambiano continuamente, adesso il problema degli Stati Uniti è l’espansione della Cina in Africa. Gli africani hanno accolto a braccia aperte i cinesi, perché hanno bisogno di strade e dighe e i cinesi sono pronti a farle senza chiedere loro di diventare democratici o comunisti, né di cambiare costumi. Per questo, Cina e Russia si sono riavvicinate, hanno messo il veto all’intervento Nato in Siria e il Mediterraneo è ritornato centrale. Kissinger e Brzezinski, i due maggiori strateghi della politica americana, due realistici politici di ferro, hanno deciso di giocare una partita a scacchi con la Cina e la Russia.
In questa partita, importantissima per il nostro futuro, l’Unione per ora tace, barcamenandosi come può. Però la Turchia sta diventando la potenza egemone del Mediterraneo perché ha un esercito forte e moderno e non pare intenzionata a entrare nell’Unione in crisi, né nell’euro. La crescita è diventato tema quotidiano e dovremmo puntare a rinforzare la ricerca scientifica e tecnologica e a investire in sicurezza. Se l’Unione non vuole diventare Disneyland, dovrà pure rendersi conto che la crescita non si fa solo con banda larga e turismo. Mentre la Turchia si presenta come il leader dei paesi arabi e il nuovo impero ottomano del III millennio si profila all’orizzonte, forse anche il nostro establishment finirà per rendersi conto che non sono più i tempi del ’92-’93 e neppure quelli del ’42, quando bastava inviare Cuccia a Lisbona per assicurarsi un futuro.
di Daniela Coli, da L'Occidentale
Il successo di Grillo, con la crisi del Pdl era prevedibile: il M5S è un mix di Tea Party e indignati, la protesta antitasse e antipartitica fa parte del dna del centrodestra, è quindi comprensibile abbia avuto voti da elettori Pdl. Il periodo attuale somiglia al ’92-’93. Alle politiche del ’92 la Dc crollò, ma gli elettori Dc nel ’94 non andarono né a sinistra né col Partito Popolare di Martinazzoli, votarono Forza Italia e fu una svolta storica difficile da cancellare in un colpo, pur con tutte le negatività attribuibili al Pdl e a Berlusconi.
La proposta di Alfano e Berlusconi dell’elezione diretta del presidente della Repubblica fa parte della cultura politica del centrodestra e i tempi sono maturi, sia per la richiesta all’Italia di una governance più forte domandata tante volte dall’Ue e al Fmi, sia perché la repubblica presidenziale è già in corso con Napolitano e si tratta di ratificarla. La proposta di riforma presidenziale alla francese potrebbe risultare soltanto un’operazione di maquillage, come avverte Panebianco, se a essa non si accompagna un rinnovamento del Pdl. Non è necessaria soltanto una ristrutturazione, come indica Panebianco, ma anche mettere in campo personalità competenti per sottolineare i limiti dell’attuale processo di unificazione europea e di attrarre intelligenze dalle quali soltanto può venire una riflessione apprezzabile anche all’estero sugli interessi dell’Italia e dell’Unione.
Per la posizione geopolitica l’Italia è un paese a cui si presta sempre attenzione, perché i suoi cambiamenti repentini sono sempre collegati allo scenario internazionale. Il periodo attuale assomiglia al ’92-’93, quando la Dc crollò alle elezioni e Ciampi introdusse la riforma elettorale da cui uscì il maggioritario. Nel ’92-93 arrivarono i normalisti, nel 2011 sono arrivati i bocconiani. Lo scenario internazionale, però, è completamente diverso da quello dei governi Ciampi e Amato, il cui compito era cambiare sistema elettorale e metterci nelle condizioni di firmare il trattato di Maastricht, l’anticamera dell’Unione europea e dell’euro. Adesso l’euro sta crollando. Allora era finita l’Unione sovietica, era iniziata la globalizzazione, gli americani avevano già fatto la prima guerra contro l’Iraq e si preparavano alla guerra contro gli stati canaglia ( Iraq, Afghanistan, Iran, Libia, Siria), mentre Prodi preparava l’allargamento dell’Unione a est, l’ingresso nell’Ue e nella Nato dei paesi dell’ex blocco sovietico.
Adesso invece siamo nel caos globale, perché gli Stati Uniti sono in crisi e perché in questi due decenni sono emerse nuove potenze come la Cina, la Russia, l’India, il Brasile, il Sudafrica, la Turchia, per non parlare del risveglio arabo. La globalizzazione si sta dissolvendo nella guerra liquida per il controllo dell’energia e dell’Asia, i governi europei hanno ceduto il potere alla finanza sovranazionale, i cittadini però chiedono alla politica locale la soluzione dei problemi in Europa. Se non affrontiamo la crisi dell’Unione, ne saremo travolti, e questo è un obiettivo che dovrebbe porsi il centrodestra, perché è in gioco il futuro dell’Italia e dell’Europa.
Per uscire dalla crisi attuale, dovremmo renderci conto – e qui avremmo bisogno di energie intellettuali, che ci sono e non sono state valorizzate – che la guerra fredda non è riducibile allo scontro tra comunismo e capitalismo (si pensi solo all’alleanza negli anni ’70 tra America del Nord e Cina), così come l’intervento americano non fu soltanto una guerra per la democrazia. Sono state guerre tra coalizioni geopolitiche e grandi imperi, di cui le ideologie e i diversi modelli sociali sono stati laboratori di pensiero strategico, campi di battaglia e strumenti di guerra psicologica. La crisi dell’Unione si risolve se cominciamo a liberarci dagli stereotipi del secolo scorso, primo fra tutti quello che l’economia faccia gli uomini e non il contrario, come ha osservato di recente Gian Arturo Ferrari sul Corriere.
Monti è competente e da tenere di conto, come chiede Ferrara: ha un’esperienza internazionale da rendersi sicuramente conto dei limiti dell’Unione. La crisi dell’euro è la spia del possibile sfarinamento dell’Unione, che con la riconciliazione franco-tedesca, la riunificazione della Germania e la fine dell’Unione Sovietica aveva perso lo scopo della sua esistenza. Dopo la fine dell’Unione Sovietica, l’Europa occidentale con l’Unione e l’euro si è proposta come attore globale, ma è rimasta un’appendice degli Stati Uniti e questo ha impedito all’euro di espandersi, di essere adottato dai paesi africani e arabi, l’unica zona d’influenza rimasta all’Europa. L’Unione non ha neppure provato ad agganciare la Russia, cristiana ortodossa come la Grecia, e il paese più esteso del mondo, con risorse energetiche quasi illimitate.
Durante la guerra di Libia si è visto come l’Unione sia pronta a dividersi: l’asse Obama-Sarkozy-Cameron non è stata solo contro la Libia, ma anche contro l’Italia, non abbastanza forte per opporsi alla no-fly zone, contro i successi della Cina in Africa e contro la Federazione russa, contro la quale si sta combattendo una dura guerra nel Caucaso e nel Mediterraneo, dove gli americani stanno schierando missili per difendere l’Unione dalla Russia per essere loro a venderci l’energia. Né l’Unione, né i media europei discutono di questi problemi. Non ne parlano neppure i media tedeschi, anche se l’ex cancelliere Schröder lavora per Gazprom a capo del consorzio Nord Stream per costruire un gasdotto che collegherà la costa russa a quella tedesca attraverso il Mar Baltico. Così, dei russi e cinesi che fanno esercitazioni navali insieme, a cui Beijing dà grande risalto mediatico, come qualche mese fa del trattato commerciale finanziario cino-giapponese o delle dimissioni dell’ambasciatore americano Ryan Crocker a Kabul, preludio del ritiro della Nato nel 2013, veniamo a saperlo da Reuters.
Il silenzio dell’Unione su questi temi in cui sono in gioco interessi vitali europei mostra i limiti dell’Europa di Bruxelles. Per questo, il centrodestra dovrebbe riprendere a Bruxelles l’obiettivo di De Gaulle dell’Europa dall’Atlantico agli Urali. De Gaulle voleva recuperare la Russia per fare diventare il Vecchio Continente di nuovo protagonista. Come è noto, nel ’67 De Gaulle uscì dalla Nato, fece ritirare le basi statunitensi dalla Francia, pur mantenendo fede al trattato Nato, e la Francia vi è rientrata solo nel 2007 con Sarkozy, che non è stato rieletto. Mentre gli inglesi accettarono sia pure a malincuore la fine dell’impero, crearono il Commonwealth, aprirono all’immigrazione, imitando le ex-colonie d’Oltremare, De Gaulle capì che gli Stati Uniti volevano la decolonizzazione per sostituirsi agli europei.
Nel ’57-58 vi fu anche il tentativo di costruire un’atomica franco-tedesca-italiana, che avrebbe potuto creare un’Europa ben diversa da quella attuale. Avere sostituito strateghi ed esperti di geopolitica con economisti, ha portato all’Unione attuale, in balia dei giudizi delle agenzie di rating. L’euro non ha mai creato grandi preoccupazioni agli Stati Uniti, perché l’Unione è politicamente e militarmente un nano e non sarà mai un gigante neppure costruendo un superstato, perché sostanzialmente impotente, non avendo una difesa.
I nostri editorialisti e commentatori non si sono ancora resi conto che il Giappone ha un debito che è il doppio del Pil, ma anche con la perdita della tripla A non ha subito il bombardamento riservato dalle agenzie di rating agli stati europei, perché il Giappone è essenziale al piano di contenimento della Cina di Obama. L’alleanza tra Cina e Stati Uniti iniziata negli anni ’70, da un’America indebolita dal Vietnam, senza più riserve auree, dimostra che il conflitto tra capitalismo e comunismo non era poi tanto importante in Asia come in Europa e che fondamentali erano soprattutto i problemi geopolitici. Poiché le alleanze cambiano continuamente, adesso il problema degli Stati Uniti è l’espansione della Cina in Africa. Gli africani hanno accolto a braccia aperte i cinesi, perché hanno bisogno di strade e dighe e i cinesi sono pronti a farle senza chiedere loro di diventare democratici o comunisti, né di cambiare costumi. Per questo, Cina e Russia si sono riavvicinate, hanno messo il veto all’intervento Nato in Siria e il Mediterraneo è ritornato centrale. Kissinger e Brzezinski, i due maggiori strateghi della politica americana, due realistici politici di ferro, hanno deciso di giocare una partita a scacchi con la Cina e la Russia.
In questa partita, importantissima per il nostro futuro, l’Unione per ora tace, barcamenandosi come può. Però la Turchia sta diventando la potenza egemone del Mediterraneo perché ha un esercito forte e moderno e non pare intenzionata a entrare nell’Unione in crisi, né nell’euro. La crescita è diventato tema quotidiano e dovremmo puntare a rinforzare la ricerca scientifica e tecnologica e a investire in sicurezza. Se l’Unione non vuole diventare Disneyland, dovrà pure rendersi conto che la crescita non si fa solo con banda larga e turismo. Mentre la Turchia si presenta come il leader dei paesi arabi e il nuovo impero ottomano del III millennio si profila all’orizzonte, forse anche il nostro establishment finirà per rendersi conto che non sono più i tempi del ’92-’93 e neppure quelli del ’42, quando bastava inviare Cuccia a Lisbona per assicurarsi un futuro.
di Daniela Coli, da L'Occidentale
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