Monti è un mago ma soltanto nello spremere gli italiani


Il professor Monti non deve prendersela per quei fischi a Bergamo: sono il segnale che c’è ancora vita nel suo pianeta politico. Quei fischi sono un bip bip, il flebile segnale che arriva dal cuore del governo.
Mi fischiano ergo sum . A vederla da qui la figura del premier si sta facendo sempre più evanescente. È come quelle immagini che cominciano a lampeggiare, ora ci sono e per un attimo scompaiono, tremolanti, come una connessione che va a svanire. Qualcosa di intermittente, precario, in scadenza. Sta finendo la batteria. Questo fenomeno di dissolvenza e marginalità pubblica inizia appena dopo il voto per le amministrative.
È lì, dove chi dice di aver vinto si illude e chi ha perso non trova il cambio di passo, con la voglia e la forza che arriva dal basso di smazzare e redistribuire le carte, l’avventura dei tecnici puzza già di passato. Ci stanno, ci sono capitati, qualcuno ancora ci spera, molti li considerano una sciagura su cui bestemmiare, ma non hanno più lo spessore di un tempo. I tecnici non sono più la scossa o la speranza, i salvatori della patria, ma vengono percepiti come le comparse che accompagnano la politica italiana verso il funerale o una, ancora imponderabile, resurrezione. Cosa è successo in questo tempo? Perché è cambiato il clima? Forse c’è stata anche una metamorfosi di Monti. Quello della riforma delle pensioni era un tecnico puro.
Non guardava in faccia a nessuno. Forte dell’appoggio europeo,in particolare della Merkel, e del Quirinale si sentiva molto, molto, più forte dei partiti. Quello della riforma del lavoro era già diverso. Napolitano non ha mai smesso di appoggiarlo, ma facendo pressioni sul suo partito, ricordava a Monti di non mettere in difficoltà Bersani. La stessa Merkel, in fondo, faceva il proprio gioco. In geopolitica gli «amici» vengono dopo gli Stati. E la Germania fa la Germania, anche se Monti cerca di fare il tedesco. Ma soprattutto Monti ha cominciato a guardare il gradimento dei sondaggi. Al tecnico è venuto lo sguardo del politico, o forse è stato sempre lì, solo che prima contava di meno. Non è un caso che a Bergamo il rettore della Bocconi abbia buttato lì quella frase che dice molto: «Noi del Nord». Noi del Nord siamo diversi, noi paghiamo più tasse. Questo non gli ha risparmiato i fischi leghisti, ma è il segno che il tecnico, Supermario, l’idraulico che sta cercando di salvare l’Italia da questa crisi con ilvolto da King Kong, guarda al futuro con l’abito del politico. Non necessariamente uno in cerca di un partito, ma di un ruolo sì, magari proprio al posto di Napolitano. Monti è deluso dal Pd.
La colpa è della sindrome «abbiamo vinto», quel mantra che Bersani continua a ripetere ai suoi alleati, agli avversari storici e ai barbari grillini. Il segretario teme che il tempo giochi contro di lui. Se si va a votare presto è convinto di poter mettere sul terreno una gioiosa macchina da guerra. È, soffrendo di una certa smemoratezza, insomma convinto di vincere. I pezzi sulla scacchiera sono definiti. La partita è fatta. Ma se si va troppo avanti le variabili sono difficili da controllare. Come sarà l’Italia nel 2013? Che succede? Il discorso di Bersani è semplice. Preferisce l’uovo oggi alla gallina domani. Il guaio, per lui, è che Monti continua a parlare della gallina. Tutta la sua politica si basa sulla fiducia nella gallina domani. Magari ha ragione il rettore.
Solo che Bersani non ha voglia di andarlo a vedere. Il risultato è che il tecnico Monti è più politico proprio nel momento in cui i politici lo stanno abbandonando. Bel paradosso. Quei fischi a Bergamo sono insomma l’ultimo strascico di una centralità perduta. Gli italiani stanno già pensando ad altro.
Hanno capito che la ricetta di Monti, quella rozza e basica, si traduce così: metto le tasse per sanare il debito. Tutto le azioni di riforma del governo non vengono percepite.Non passano.Non c’è fiducia. C’è rassegnazione e la speranza di dire: avanti il prossimo. Ora è questo il centro di interesse degli italiani: chi sarà il prossimo? E Monti? La risposta al momento è ingenerosa: a salvare l’Italia con una raffica di tasse sono capaci tutti. Perfino i professori.

da Il Giornale

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