Ugo Franzolin è morto ieri, 67 anni dopo l'annuncio della sua morte. Aveva dichiarato di essere morto all'età di 25 anni, il 25 aprile 1945, quando finì in carcere a San Vittore perché militava nella Repubblica sociale. Ha sopravvissuto alla sua morte per tanti decenni e ha scritto da morto svariati libri sulla sua esperienza nella Rsi. Un suo libro su El Alamein fu elogiato da Montanelli, un altro suo romanzo, Il Repubblichino, fu il battistrada di quella narrativa «dalla parte dei vinti» che poi ebbe successo e pubblici riconoscimenti con autori come Carlo Mazzantini, il padre di Margaret. Franzolin ricordava tra i repubblichini Albertazzi e Tognazzi, Chiari e Vianello, Enrico Ameri... Tutti i suoi libri erano dedicati alla gioventù e ai vinti. Perché Franzolin visse come si descrisse; la sua vera vita era finita in quel tempo, e lui aveva vissuto da single nel culto e nel ricordo di quegli anni. Sono più di quel che si possa immaginare coloro che vivono da morti per lunghi decenni, pensando che la vera vita si sia arrestata in un momento topico della loro giovinezza. Assurdo fondare movimenti politici nel nome di quella morte e nel solco della nostalgia; ma è possibile scrivere romanzi e trasfigurare la vita nel racconto. Alla letteratura è concesso di fermarsi a un'età della propria vita; alla vita e alla politica no. Franzolin diventò così il pretesto dei suoi romanzi, barattò la sua vita per la sua narrazione. Così ieri la sua vita si è finalmente ricongiunta alla sua opera.
di Marcello Veneziani
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