Libia, follia per film su Maometto: ucciso l'ambasciatore americano

La furia è stata scatenata da un film ritenuto blasfemo su Maometto girato da un gruppo di copti residenti negli States

Una protesta che va dalla Libia all'Egitto e ieri al Cairo, circa 3mila manifestanti hanno invaso la piazza centrale sostituendo la bandiera americana dall’ambasciata Usa  con un vessillo inneggiante ad Allah
La follia del fondamentalismo islamico incendia la Libia: l'ambasciatore americano J. Christopher Stevens (nella foto, l'immagine choc pubblicata su Twitter) è stato ucciso insieme a tre marines nel corso dell'assalto al consolato Usa a Bengasi. La scintilla della violenza è stata offerta da un film su Maometto, The innocence of Muslims (L'innocenza dei musulmani), ritenuto blasfemo. La pellicola, prodotta da un gruppo di copti residenti negli Stati Uniti, ritrarrebbe il profeta come un donnaiolo e truffatore. Come riferiva il Wall Street Journal, il film dello scandalo è stato realizzato da un statunitense-israeliano, Sam Bacile, promotore immobiliare 54enne. Dopo le manifestazioni al Cairo, l’uomo ha dichiarato al quotidiano americano: "L'Islam è un cancro".  Stevens e i marines sono morti nell'auto che li stava portando fuori dall'ambasciata, letteralmente bruciata. Non è ancora chiaro se il funzionario americano sia morto asfissiato dal fumo o se sia stato vittima di un assalto dei manifestanti.

Sangue in Nord Africa - La notizia, rilanciata dalla tv panaraba al-Jazeera, è stata poi confermata dal ministero dell’Interno libico. Martedì sera si parlava della morte di un non meglio precisato "funzionario americano" ma è chiaro che la notizia della morte di Stevens cambia tutto il panorama. La folle protesta contro il film non riguarda solo la Libia: martedì al Cairo, in Egitto, alcuni dei tremila manifestanti scesi in piazza si erano staccati dal corteo ed erano riusciti a tirare giù la bandiera a stelle e strisce dall’ambasciata americana e a sostituirla con un vessillo inneggiante ad Allah. I protestanti di Bengasi manifestavano contro lo stesso film denunciato in precedenza da migliaia di egiziani, in maggioranza salafiti, che erano già scesi in pazza martedì, proprio nel giorno dell’anniversario degli attacchi dell’11 settembre agli Usa.

Le parole di Al Quaeda - Nel frattempo sui siti vicini ad Al Qaeda si rivendica l'attacco all'ambasciata Usa come "una reazione della milizia Ansar Al-Sharia alla conferma della morte di Abu al-Libi", numero 2 dell'organizzazione terroristica musulmana arrivata martedì da Ayman al Zawahiri. Preoccupazione tre la autorità libiche. L’attacco è "contrario agli insegnamenti dell’Islam" e la Libia farà tutto il necessario per punire i responsabili, ha ricordato il presidente dell’Assemblea nazionale, Mohamed el-Megari.
Gli imbarazzi di Obama - Martedì il presidente americano Barack Obama ha preferito ricordare le vittime delle Torri Gemelle ricordando che gli Usa non sono in guerra contro l'Islam ma contro i fondamentalisti. E da ambienti ufficiali è arrivata addirittura la condanna del film sotto accusa, con colpevole sottovalutazione del peso degli incidenti. Il candidato repubblicano Mitt Romney ha accusato per questo Obama, che pare ripetere gli errori commessi da gran parte del mondo occidentale nel 2006. Allora Bengasi s'incendiò contro il ministro Roberto Calderoli, colpevole di aver mostrato in tv una maglietta con una vignetta satirica su Maometto. Anche in quel caso, accusa di blasfemia e follia dei fondamentalisti: nell'assalto all'ambasciata italiana morirono 11 persone. Naturalmente la colpa fu addebitata a Calderoli, che fu costretto a dimettersi. Secondo molti esperti dell'area, il rigurgito islamista di quell'episodio (legato alla pubblicazione nel settembre 2005 di altre celebri vignette satiriche sul giornale danese Jyllands-Posten) segnò l'inizio dell'insurrezione anti-Gheddafi, il Colonnello che ha imbavagliato fino allo scorso ottobre ogni tipo di fondamentalismo religioso. Che ora, libero, si arma e alza la voce: è il frutto amaro (ma prevedibile) della primavera araba, che l'ambasciatore Stevens sul sito ufficiale della diplomazia Usa definiva "periodo di cambiamento e speranza" per la Libia. Sono fortunato a parteciparvi". Mai come oggi queste parole suonano beffarde.
 
da Libero

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