Le contraddizioni di Berlusconi (e del suo partito)

Ho, come tanti provenienti dall’area nazionale, seguito fin dall’inizio la vicenda politica di Berlusconi fino a questi giorni di grande cimento successivi alla sentenza della Cassazione, votandolo e partecipando anche ad alcune manifestazioni pubbliche.
Ritengo quindi opportuno – alla luce di questa lunga esperienza –  esprimere alcune  considerazioni di tipo politico e culturale.
Il movimento politico da lui fondato nel 1994, “Forza Italia”, si caratterizza subito con un’insanabile contraddizione che si perpetua negli anni attraverso le modifiche successive organizzative e nominalistiche. Da un lato si presenta agli elettori come una risposta di massa all’azione dei procuratori milanesi impegnati nell’attacco ai partiti dell’allora pentapartito democratico (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli: nomi che ai giovani di oggi nulla dicono) che favorisce oggettivamente il partito comunista appena camuffatasi sotto il nome del PDS, dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Ed in questa risposta “popolare” si allea subito con due movimenti che “popolari” lo sono veramente e che all’epoca (1993) avevano un grande consenso: la Lega Nord ed il Movimento Sociale Italiano, inventandosi due coalizioni diverse al nord ed al centro-sud d’Italia.
Dall’altro, però, grazie a molti elementi presenti nel suo movimento (da Martino ad Urbani, da Pera a Scognamiglio) si presenta come un “partito liberale di massa” che cerca solo il consenso elettorale per svolgere il suo ruolo nel Parlamento. Un partito, quindi, molto istituzionale.
Questa diversità insanabile al suo interno non è mai stata superata. Da un lato Berlusconi ed i suoi dirigenti sostengono in ogni occasione che rappresentano milioni di elettori, che hanno decine di parlamentari, che le cariche istituzionali – a cominciare dal presidente della repubblica – devono attivarsi nei momenti particolari, come quello attuale successivo alla condanna.
Dall’altro, però, si fa appello alla “piazza” e si mobilita il “popolo di centro-destra” contro le persecuzioni giudiziarie e le manovre politiche ostili. Fra l’altro, all’atto della fondazione del PDL, si fece una specie di referendum tra gli elettori e fu scelto il nome di “popolo” proprio per dare l’idea di un grande movimento di massa. Allora, però, bisogna disporre di un partito organizzato, che sia presente con sedi aperte in tutti le città e quartieri, che abbia propri nuclei organizzati all’interno di ministeri, banche, uffici, aziende e – perché no – magistratura e polizia; un partito che abbia aderenti e militanti pronti a mobilitarsi in poche ore, capaci di manifestare la presenza ovunque e con tutti i mezzi (scritte murali, manifesti, volantinaggi, diffusione di giornali, banchetti stradali, cortei, e via dicendo).
Se non si fa questo, ci si riduce all’espressione parlamentare che è sempre stata sterile, perché i milioni di elettori non hanno volto e nome, incidono solo una volta ogni cinque anni nel segreto dell’urna e poi spariscono nel loro anonimato. Una conferma di ciò è data dal nucleo ristretto dei consiglieri e dirigenti del PDL che si riuniscono intorno a Berlusconi: sono solo alcuni parlamentari, peraltro invitati senza alcun tipo di selezione o formalità, senza la presenza di rappresentanti della cosiddetta “base” elettorale, senza alcun tipo di confronto aperto sulle scelte e la politica da seguire.
Quindi, prima considerazione: se si vuole essere “populisti”, lo si deve essere fino in fondo. Il “popolo” va ascoltato sempre e mobilitato quando serve, soprattutto quando occorre fare pressione sulle altre forze politiche e sui poteri ostili, quali magistratura, stampa ed alte cariche istituzionali. Altrimenti, si rimane prigionieri dei meccanismi giuridico-costituzionali, che hanno le loro procedure ed i loro vincoli.
L’altra considerazione è di un profilo più ampio, che si riferisce ad un quadro geopolitico e storico ben individuato.
Berlusconi è prigioniero di una sua visione “atlantista” formatasi nei primi anni del dopoguerra con la gestione democristiana, fondata sull’alleanza con gli Stati Uniti (“che ci hanno liberato dalla dittatura”, come ripete spesso) allora in parte giustificata dall’incombente minaccia sovietica.
Ma la politica internazionale si modifica nel corso dei decenni, mentre permangono intatte le tendenze di carattere geopolitico. L’Italia è una media potenza regionale, con interessi ed influenza nell’area mediterranea. L’Italia è anche una potenza economica ed industriale, grazie all’inventiva, al dinamismo ed all’audacia dei propri imprenditori, che necessitano però di uno spazio cui proiettarsi.
Ebbene, queste tendenze innate ed incomprimibili dell’Italia entrano necessariamente in contrasto con gli interessi di altre potenze presunte “alleate”: la Francia e l’Inghilterra innanzitutto, ma anche gli Stati Uniti, interessati anche a tutelare la presenza israeliana.
Cosicché nella storia del dopoguerra italiano abbiamo avuto personaggi che hanno tentato, spesso riuscendoci, di attuare quelle tendenze geopolitiche italiane mediante lo sfruttamento dei bacini petroliferi, gli accordi con i paesi rivieraschi del Mediterraneo, intese produttive con la Russia, e via dicendo. Ebbene, è ormai storia nota che questi uomini – i quali disturbavano altri interessi – sono stati via via eliminati. Fisicamente, come Mattei e Moro; politicamente e giudiziariamente, come Fanfani e Craxi. Vi sono due interessantissimi libri editi da “Chiare Lettere” che dimostrano queste situazioni. “Intrigo internazionale”, che si basa su un’intervista al giudice Rosario Priore, ed “Il golpe inglese” (vedi anche la recensione pubblicata da destra.it nella rubrica Penna Pellicola Palco, ndr)
Berlusconi aveva iniziato a proseguire su questa strada, con gli accordi con la Libia, la Russia, la Turchia: ma questo percorso non era gradito agli “alleati atlantici”, che lo hanno voluto fermare al più presto. Il primo avvertimento è stata la scissione finiana, pilotata dall’esterno facendo leva sulle presuntuose ambizioni del soggetto: ma ben più pesante è stata la guerra scatenata contro Gheddafi, seguita dalle “primavere arabe”, per arrivare infine al diktat della Banca Centrale Europea del 5 agosto 2011 mirante ad instaurare il governo dell’eurocrate Monti ed ora quello dell’”aspeniano” Letta.
Egli avrebbe dovuto invece capire subito la trama che si stava svolgendo, e battersi. Innanzitutto, non avrebbe dovuto partecipare all’assalto a Gheddafi, disobbedendo alle pressioni di Napolitano; poi avrebbe dovuto apertamente denunciare il complotto finanziario sugli “spread” e le pressioni europee; infine, cosa ancora più importante, non avrebbe dovuto sostenere Monti prima e Letta poi.
In tal modo ora, dinanzi alla sentenza della Cassazione, non sarebbe costretto a limitarsi a criticare il potere abnorme ed incontrollato della magistratura, ma avrebbe potuto alzare alto e forte l’accusa alle potenze internazionali, in combutta con alcuni influenti e riservati poteri interni, di volerlo eliminare perché intendeva dare un ruolo fondamentale all’Italia, tutelare le sue industrie ed i suoi commerci, rafforzare un’indipendenza nazionale sempre più attenuata.
Queste, a nostro modesto avviso, sono le carenze nell’azione politica e propagandistica di Berlusconi. Se Mattei è passato alla storia per aver contrastato le “sette sorelle” del petrolio, se di Moro si potrà dire che è stato ucciso dalle Brigate Rosse dietro impulso di mandanti ancora occulti per la sua politica filoaraba, se Craxi è noto per l’episodio di Sigonella, è possibile che Berlusconi sarà ricordato per il caso “Ruby” e per evasione fiscale…E non è certo un bel ricordo!
Ai grandi politici, come Berlusconi indubbiamente è, servono consiglieri audaci e lungimiranti, non “tranquillizzanti” mediatori con coloro che vogliono eliminarli!

di Nazzareno Mollicone

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