Di
certo lo spirito del vecchio conte non si sarà di certo emozionato per
così poco. Camillo (vivente) era un uomo attento e pragmatico.
Ovviamente, il sapere che la nave che porta il suo nome attraversi gli
oceani e porti il tricolore sino e oltre il Capo di Buona Speranza
rasserenerà l’illustre spirito turbato da tante, troppe magagne post
unitarie. Eppure, non è questo l’importante. Sin dai tempi delle
tempestose battaglie col parlamento torinese per ottenere fondi per la
flotta, modernizzare l’industria cantieristica e la marina mercantile o
costruire un arsenale a La Spezia, Camillo ebbe chiara, chiarissima
l’esigenza di una collaborazione tra Stato e impresa, la necessità di
sinergie tra pubblico e privato. Nel segno della Nazione e del suo
futuro. Sul mare. Oggi, per una volta, il sogno cavouriano prende
sostanza. Diventa realtà.
La Crociera Navale, che partirà da Civitavecchia il 13 novembre e si concluderà a Taranto il 7 aprile del prossimo anno, è, in primis,
una dimostrazione d’efficienza, di professionalità della nostra Marina e
l’espressione di una ponderata politica di presenza (e di potenza,
ovviamente “non aggressiva” …) in settori geografici lontani ma non
periferici. Non a caso, le navi toccheranno Gibuti — dove stiamo
costruendo, nel silenzio generale, una munita base militare — e
incroceranno al largo dell’Eritrea e della Somalia. Ma non solo. Accanto
all’aspetto tecnico-militare (l’hard power), la missione presenterà le nostre eccellenze pubbliche e private (il soft power).
Porto dopo porto, nell’hangar principale della nostra nave ammiraglia i
visitatori stranieri potranno vedere, analizzare e (magari) acquistare
le proposte di Finmeccanica, Agusta, Selex, Oto Melara, Wass Mbda,
Elettronica, Intermarine, Beretta, Ice, Expo Milano, Pirelli, Ferrero,
Federlegno, Telespazio, Piaggio, Fincantieri. Praticamente il meglio, o
quasi, del “made in Italy”.
In
sei mesi di navigazione lungo le rotte del petrolio e delle dinamiche
economie afro asiatiche — il gruppo Cavour toccherà tredici paesi
africani e sette del golfo Arabico —, la missione cercherà di rafforzare
i rapporti commerciali già positivi (come nella penisola arabica) e
creare nuovi sbocchi al Sistema Italia nel “continente nero”
(soprattutto in Sud Africa e in Nigeria). Insomma, la Crociera può
essere l’occasione, incrinando i tradizionali blocchi geoeconomici post
coloniali (dominati dagli anglo-francesi e dagli statunitensi) e
offrendo un’alternativa qualitativa all’invasività cinese e indiana, per una presenza italiana forte e credibile sui mercati emergenti.
Cosa
importante, visti i tempi, gran parte dei costi dell’operazione (circa
20 milioni di euro) sarà carico delle aziende. Come assicura il capo di
Stato di Marina Militare, ammiraglio De Giorgi, «13 milioni sono coperti
dagli sponsor e i rimanenti sette sono per gli stipendi dei militari
impegnati». Da qui l’entusiasmo di Confindustria. Dimenticando la
radicata diffidenza verso le Forze Armate del mondo imprenditoriale, “il
Sole 24 Ore” ha descritto la missione come «una “rotta della speranza”
per la promozione di prodotti, tecnologie e design… la portaerei è un
luogo fisico dell’eccellenza militare, ma può diventare un luogo
immateriale dell’ italian concept, della cultura italiana a tutto tondo». Al tempo stesso, François Hollande — spiazzato dall’iniziativa italiana — ha richiamato masubitamente
i suoi ammiragli e ordinato alla portaerei Charles De Gaulle
un’improvvisa “crociera promozionale per il “made in France”. Vedremo.
Qualche
riflessione. Con questa iniziativa — la più complessa dai tempi della
missione del 1979 nelle acque vietnamite — la Marina Militare si
conferma, una volta di più, un centro di potere autonomo e lungimirante.
Capace di “pensieri lunghi”, nel segno dell’interesse nazionale, sul
ruolo geopolitico e il (medio) potere navale dell’Italia.
La
partita è complessa e intricata: per ammortizzare al massimo l’impatto
dell’annunciato ridimensionamento di navi e personale, gli ammiragli
hanno scelto nuovi, possenti alleati. Ignorando il potere politico,
sempre più debole e instabile, i nostri navarchi cercano sponda e aiuto
nel complesso industriale e finanziario. Se fruttuose, le sinergie con
il sistema imprenditoriale, il “made in Italy”, nel futuro prossimo —
quando si porrà finalmente il problema di una nuova “legge navale” —
potranno rivelarsi decisive. Una scadenza importante. Quel giorno non si
tratterà d’assicurare qualche privilegio ai gallonati o “scivoli”
pensionistici, ma di decidere se preferiamo accontentarci di una guardia
costiera (come la Slovenia o Malta) o se vogliamo ancora navi da
guerra, una forza di proiezione navale. Una Marina. Camillo Benso di
Cavour non avrebbe avuto dubbi. di Marco Valle
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