Sognavamo un
partito differente ed intelligente. Un partito mai massimalista e
nemmeno moderato. Un partito libero da inutili nostalgie ma fiero di
radici profonde. Un partito rivoluzionario. Il Partito dell’Italia
nuova.
Le cose sono
andate in modo diverso. Lo sappiamo. Conosciamo sin troppo bene i
percorsi e i ricorsi, le mediazioni (inevitabili) e le cadute
(evitabili). Sappiamo tutto. Abbiamo visto tutto. Sino al disgusto.
Nessuno si permetta di fingersi innocente. L’infallibile ha fallito e
oggi gioca con le sue bimbe. Lasciamolo in pace a godersi la sua tardiva paternità. Dimentichiamolo. Amen.
E scordiamo
anche i moschettieri del “Capo” — quelli che strillavano “Fini, Fini il
nuovo Mussolini” e oggi lo odiano con la stessa ottusità di quando lo
acclamavano… —, il “Batman”, il telepredicatore xenofobo e puttaniere e i
tanti furbacchioni che hanno lucrato, truffato, rubato sul sogno,
ingenuo ma vero di qualche milione d’italiani seri, puliti. Onesti.
Ricominciamo. Da
dove? Da Fiuggi e dal congresso di Fratelli d’Italia. Senza illusioni,
senza troppe speranze. Con realismo. Perché? Per tanti motivi.
Per esempio,
perché Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto non hanno avuto
paura di sfidare il grande sultano d’Arcore, rischiando posti e
poltrone, per offrire all’area un’alternativa all’assorbimento e alla
dispersione. Benissimo.
Oppure perché
Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto sono riusciti a
fissare, a differenza di Storace e dell’ex sindachessa di Lecce, un
punto di coagulo nella liquidità della destra dispersa e tengono punto
in Parlamento e sul territorio. Bene.
O, ancora,
perché Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto sono riusciti a
salvare il simbolo di A.N — con gran rabbia del povero Gasparri e del
callido Matteoli — per rilanciarlo (ammesso e non concesso che valga ancora qualcosa) alle prossime elezioni. Benino. Ma non basta. Non può bastare.
Non illudiamoci.
L’ipotesi di FdI può e deve avere un senso solo se riuscirà a superare
schemi obsoleti, linguaggi ripetitivi e visioni autoconsolatorie.
Siamo chiari. A
parte qualche segmento marginale e ininfluente, nessuno in Italia sente
la mancanza di una destra neo o postfascista, retorica e
autoreferenziale. Il Fascismo, Mussolini, Almirante e tutte le altre
icone dell’ambiente appartengono, giustamente, al passato. Alla storia.
Agli italiani
del terzo millennio — 70 anni dopo piazzale Loreto, 42 anni dopo il ’68,
25 anni dopo il crollo del muro di Berlino — non interessano parole
vecchie, canti antichi, riti desueti. Dei lamenti delle prefiche
disoccupate delle varie fiamme e fiammette tricolori sui destini della
Destra e/o sui loro problemi privati non frega nulla a nessuno. Con
buona pace di Storace, Fiore, Poli Bortone, Menia e compagnia cantante,
l’Italia ha problemi più urgenti.
Le domande, gli
interrogativi sono altri e stringenti. Terribili. Il “Patrio Stivale”
attraversa una crisi devastante che sta spezzando l’impianto
manifatturiero e commerciale del Paese, quello che De Rita chiama lo
“scheletro contadino”: la terra, il territorio, l’Italia delle
fondamenta. Lontano dagli opachi “salotti buoni” della finanza vi è il
popolo dei distretti, il “capitalismo molecolare” — 4, 388 milioni
d’imprese con meno di 20 addetti (il 94% del tessuto produttivo nazionale), una rete di piccoli “capitani coraggiosi” che crea 24 milioni di posti di lavoro.
È questa
l’Italia che resiste e che si oppone alla casta, alla burocrazia,
all’Europa tecnocratica: un’Italia vitale, silenziosa, capace di saperi
antichi e (per il momento) mite. Ma quest’Italia, delusa da Berlusconi e
(in parte) da Monti, oggi si ritrova senza interlocutori, senza
speranza. La rabbia disordinata dei “forconi” e il suicidio, nello
svanire del loro progetto di vita, di tanti imprenditori devono far
pensare.
Insomma, se FdI
vuole diventare una forza di cambiamento reale non può perdersi in bolle
identitarie, rassicuranti ma sterili, ma deve trovare modi, tempi e
idee per dare a questo mondo — un meraviglioso giacimento di buone
energie e un blocco sociale centrale — progetti e speranze: soluzioni
serie e prospettive forti per contrapporsi alle vacuità di Renzi e alle
sirene del ribellismo, per costruire alleanze sociali.
Un compito
arduo, difficile. Impegnativo. Da qui la necessità di una svolta
radicale. A Fiuggi la scelta è semplice. Costruire un partito capace
pensieri lunghi, formare un luogo dove organizzare intelligenze — senza
temere, come il vecchio MSI, gli intelligenti —, creare sintesi
innovative e costruire futuro oppure accontentarsi di pensieri corti: un
cartello elettorale che urla per i marò, strilla contro le “pensioni
d’oro” per (forse) collocare in parlamento qualche fortunato.
Non basta non aver paura. Ci vuole anche coraggio.
di Marco Valle
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