Ma quanti emuli conta qui da noi Marine Le Pen? Tanti, a leggere commenti, dichiarazioni ufficiali, note stampa e tweet. Il
chiaro successo ottenuto al primo turno amministrativo di domenica e
l’aria di trionfo che già traspare dai sondaggi sfornati per le
“europee” di maggio ha reso la leader dei bleumarine per i politici quel che la Settimana Enigmistica è
per i quiz, cioè il personaggio con il maggior numero di tentativi
d’imitazioni. Di solito la vittoria ha molti padri. Nel nostro caso,
invece, una pletora di aspiranti copisti o di artisti alla maniera del
maestro Scorcelletti, il modesto pittore specializzato nel riprodurre i
quadri del Goya immortalato da Steno nel film: “Totò, Eva ed il pennello proibito“.
Forse è meglio partire da una verità semplice semplice: per evitare
facili entusiasmi nel centrodestra e soprattutto per offrire un modesto
contributo ad una lettura meno sbrigativa dell’exploit elettorale. Marine Le Pen ha vinto non solo perché è contro l’euro ma solo perché è risultata credibile in questa veste.
La pasionaria del Front National sta portando a compimento la lunga marcia nelle istituzioni già tentata dal padre Jean Marie e culminata nello storico accesso al ballottaggio alle presidenziali del 2002 contro Jacques Chirac, da cui uscì sconfitto anche per effetto del soccorso gauchista di Lionel Jospin al candidato gollista. Altri tempi, altre storie, come dimostra il “no” opposto questa volta dalla destra francese al “patto repubblicano” riproposto dai socialisti ancora in funzione anti-Le Pen.
Stupisce perciò non poco la corsa tutta italiana a balzare sul carro della vincitrice d’Oltralpe come se bastasse intestarsene la battaglia contro la moneta unica per replicarne i successi elettorali in patria. Magari fosse così facile, ma non ê così. Politicamente parlando, Le Pen non è nata certo ieri. Il suo Front calca la scena da circa un quarantennio e sempre nella condizione di partito appestato, esattamente come accadeva al Msi di Almirante. E proprio come capitò a questo partito, agli inizi degli anni ’90 e con una rinnovata leadership, di beneficiare del terribile isolamento nel quale era stato ricacciato per circa mezzo secolo, così ora la Le Pen può finalmente staccare il meritato dividendo elettorale della lunga traversata del deserto. È dunque a buon diritto che la leader del Front National può impostare la futura battaglia elettorale di maggio autocollocandosi nel “popolo di sotto” efficacemente opposto a quell’establishment di cui non ha mai fatto parte e quindi ergendosi a paladina di una comunità nazionale economicamente strozzata da una crisi con radici troppo esotiche per non suscitare la rivolta degli strati più popolari.
Di più: il movimento lepenista individua nello Stato nazionale e nella sua piena sovranità i veri antidoti da opporre alla buro-tecnocrazia di Bruxelles ed all’eclissi della democrazia. A differenza di Salvini e dei leghisti, impegnati in queste ore a celebrare il successo anti-euro del Front National e, nello stesso tempo, ad inneggiare a plebisciti e a referendum che attentano all’unità ed all’integrità della nazione, per Marine Le Pen la risposta all’Europa dei mercati e delle banche è la Francia nella sua interezza e non la Vandea autonoma o la Corsica indipendente (e dire che la sì che storia, geografia e lingua lo giustificherebbero). Il fatto che il Carroccio sorvoli disinvoltamente su questi elementi a dir poco discriminanti verso il movimento politico transalpino, dà la cifra della sua finalità propagandistica. Lo stesso vale per Grillo – l’unico del resto cui sembra rivolgersi esplicitamente la Le Pen – attardato a corteggiare l’elettorato leghista con riferimenti alla Serenissima Repubblica di Venezia o a solleticare il mai sopito revanscismo sudista attraverso l’elogio del regno borbonico.
In realtà, la differenza tra Parigi e Roma e che in parte spiega perché Oltralpe il risentimento anti-euro finisce per coincidere in gran parte con il sentimento nazionale, sta proprio nel fortissimo radicamento politico-culturale della destra francese e nella sua capacita di spalmarsi nella società come “coscienza diffusa”, se non addirittura come religione civile. Al contrario, nella coalizione di centrodestra italiana la confusione è grande e tutto sembra soccombere di fronte alle convenienze del momento senza che nessuno si preoccupi di essere percepito come incoerente. E così si assiste all’oscillazione tra pulsioni separatiste e velleità sovraniste o tra l’esaltazione di un’inesistente Padania e la riaffermazione dell’unità nazionale. Insomma, tutto ed il suo contrario stipati nello stesso scaffale. Difficile, però, che oltre la stretta cerchia dei fedelissimi, qualcuno se ne fidi al punto tale di infilarli nel carrello della spesa per acquistarli. Forse è la mancanza di un De Gaulle ieri ad impedire alla destra italiana di poter contare oggi su una Marine Le Pen in verde, bianco e rosso.
di Mario Landolfi, da Il Secolo d'Italia
La pasionaria del Front National sta portando a compimento la lunga marcia nelle istituzioni già tentata dal padre Jean Marie e culminata nello storico accesso al ballottaggio alle presidenziali del 2002 contro Jacques Chirac, da cui uscì sconfitto anche per effetto del soccorso gauchista di Lionel Jospin al candidato gollista. Altri tempi, altre storie, come dimostra il “no” opposto questa volta dalla destra francese al “patto repubblicano” riproposto dai socialisti ancora in funzione anti-Le Pen.
Stupisce perciò non poco la corsa tutta italiana a balzare sul carro della vincitrice d’Oltralpe come se bastasse intestarsene la battaglia contro la moneta unica per replicarne i successi elettorali in patria. Magari fosse così facile, ma non ê così. Politicamente parlando, Le Pen non è nata certo ieri. Il suo Front calca la scena da circa un quarantennio e sempre nella condizione di partito appestato, esattamente come accadeva al Msi di Almirante. E proprio come capitò a questo partito, agli inizi degli anni ’90 e con una rinnovata leadership, di beneficiare del terribile isolamento nel quale era stato ricacciato per circa mezzo secolo, così ora la Le Pen può finalmente staccare il meritato dividendo elettorale della lunga traversata del deserto. È dunque a buon diritto che la leader del Front National può impostare la futura battaglia elettorale di maggio autocollocandosi nel “popolo di sotto” efficacemente opposto a quell’establishment di cui non ha mai fatto parte e quindi ergendosi a paladina di una comunità nazionale economicamente strozzata da una crisi con radici troppo esotiche per non suscitare la rivolta degli strati più popolari.
Di più: il movimento lepenista individua nello Stato nazionale e nella sua piena sovranità i veri antidoti da opporre alla buro-tecnocrazia di Bruxelles ed all’eclissi della democrazia. A differenza di Salvini e dei leghisti, impegnati in queste ore a celebrare il successo anti-euro del Front National e, nello stesso tempo, ad inneggiare a plebisciti e a referendum che attentano all’unità ed all’integrità della nazione, per Marine Le Pen la risposta all’Europa dei mercati e delle banche è la Francia nella sua interezza e non la Vandea autonoma o la Corsica indipendente (e dire che la sì che storia, geografia e lingua lo giustificherebbero). Il fatto che il Carroccio sorvoli disinvoltamente su questi elementi a dir poco discriminanti verso il movimento politico transalpino, dà la cifra della sua finalità propagandistica. Lo stesso vale per Grillo – l’unico del resto cui sembra rivolgersi esplicitamente la Le Pen – attardato a corteggiare l’elettorato leghista con riferimenti alla Serenissima Repubblica di Venezia o a solleticare il mai sopito revanscismo sudista attraverso l’elogio del regno borbonico.
In realtà, la differenza tra Parigi e Roma e che in parte spiega perché Oltralpe il risentimento anti-euro finisce per coincidere in gran parte con il sentimento nazionale, sta proprio nel fortissimo radicamento politico-culturale della destra francese e nella sua capacita di spalmarsi nella società come “coscienza diffusa”, se non addirittura come religione civile. Al contrario, nella coalizione di centrodestra italiana la confusione è grande e tutto sembra soccombere di fronte alle convenienze del momento senza che nessuno si preoccupi di essere percepito come incoerente. E così si assiste all’oscillazione tra pulsioni separatiste e velleità sovraniste o tra l’esaltazione di un’inesistente Padania e la riaffermazione dell’unità nazionale. Insomma, tutto ed il suo contrario stipati nello stesso scaffale. Difficile, però, che oltre la stretta cerchia dei fedelissimi, qualcuno se ne fidi al punto tale di infilarli nel carrello della spesa per acquistarli. Forse è la mancanza di un De Gaulle ieri ad impedire alla destra italiana di poter contare oggi su una Marine Le Pen in verde, bianco e rosso.
di Mario Landolfi, da Il Secolo d'Italia
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