Forse non lo sai ma pure questo è amore. Vittoria, una storia degli anni 70

L’Italia dei Sessanta nello sguardo di un/a bimbo/a. L’orgoglio dei genitori per quel benessere faticosamente conquistato. Gli elettrodomestici, la televisione. Le prime vacanze ritmate da mangiadischi e dai juke box. La gite fuoriporta per trovare i parenti “rimasti al paese” — quell’Italia profonda non ancora urbanizzata, ma già vinta dallo sguardo della città —, la scoperta, attraverso la televisione in bianco e nero, di un mondo sconfinato, colorato. La luna e gli astronauti. La scuola dove, indossando il grembiule su cui ti asciugavi le mani impiastricciate d’inchiostro, le maestre t’insegnavano la “Canzone del Piave”. L’oratorio dove un prete vestito da prete (una volta i religiosi non si vergognavano della loro veste…) ti portava ad arrampicare, a correre, a giocare. Ottimismo e curiosità.

L’Italia dei Settanta negli occhi di un ragazzo/a. L’inquietudine dei genitori e le loro discussioni, sempre più accese, ogni volta che il telegiornale annunciava l’ennesimo sciopero, l’ennesimo governo, l’ennesima elezione. Timori, inquietudini, indignazione. I “vecchi”, apparentemente persi nei loro umori confusi, nelle loro delusioni e le liti tra mamma e papà in occasione del referendum sul divorzio. La sensazione di un tempo nuovo, incomprensibile ma veloce e fascinoso. Crudele. Assolutamente da vivere. Ma come e dove? Impossibile tradire ciò che in casa ti hanno insegnato  talvolta ad amare, di certo a rispettare. La Patria, l’Italia e quel nome ingombrante: Mussolini.

Ma ogni scelta ha un costo. Nel frantumarsi dell’adolescenza, il sentirsi “altro” dai tanti, dai più significa amicizie spezzate, parole dure, sguardi improvvisamente ostili. Da qui il bisogno cercare affinità elettive, nuove fratellanze. Per dare un senso alla tua rabbia. Alla tua voglia di vivere.

Atmosfere, sensazioni comuni ad un segmento importante di una generazione. Gusti, colori e profondità che abbiamo ritrovato, potenti e limpide, in “Vittoria”, il nuovo libro di Annalisa Terranova. L’autrice, una meravigliosa ragazza dei Sessanta, ha voluto e saputo raccontare la sua/nostra vicenda giovanile attraverso la piccola, grande storia della sua famiglia. Una famiglia di gente onesta e ruvida, laboriosa e austera. Una famiglia assolutamente normale. Una famiglia missina.

Raccogliendo con cura e delicatezza — ma senza retorica e inutili abbellimenti — le memorie di casa, Annalisa ci riporta i sapori dell’infanzia, ricorda i turbamenti dell’adolescenza, le inquietudini degli anni liceali, la tempesta degli anni di piombo. Nella prima parte vi è la Roma della piccola media borghesia, un mondo forse ingenuo ma solido e fiero del suo meritato “onore sociale”. Un paesaggio rassicurante e parco, punteggiato da zie polesane in esilio e letture di “Via col Vento”,  frammezzato da viaggi in una Sicilia ancora misteriosa, gite familiari a Venezia, domeniche allo stadio.

In questo clima, tra certezze e candori quasi gozzaniani e oggi irrimediabilmente smarriti, Vittoria/Annalisa diventa ragazza. Poi tutto cambia e tutto — ma non la sua famiglia — inizia a vacillare, a cambiare. Nell’Italia che si trasforma e s’incattivisce, i genitori della protagonista fanno una scelta di campo aperta: da simpatizzanti, sfidando le bombe e l’odio dell’antifascismo militante — senza alcuna ambizione elettoralistica, senza nessuna idea di carriera o di retribuzione — s’impegnano nel MSI. Per puro senso del dovere. Perché lo ritengono giusto, necessario. Gente seria. Punto.

Vittoria/Annalisa condivide la scelta dei suoi, ma presto la vita della sezione, i riti del partito, i tic e le manie del “piccolo mondo antico” missino diventano insopportabili. Con la determinazione ingenua dei quindicenni la ragazza percorre sul suo autobus la città ormai nemica — ai suoi occhi  in fiamme come l’Atlanta di Rhett e Rossella — alla ricerca di un’isola liberata. Il suo approdo è la sezione di Colle Oppio, un avamposto popolato da ragazzi, ironici, allegri, coraggiosi. Assieme a suoi nuovi amici la protagonista attraverserà la seconda metà degli anni Settanta, il periodo più cupo della Repubblica. Un tempo di manifestazioni, cortei, canzoni, piccoli amori e grandi sentimenti; momenti agrodolci in cui s’intrecciano tante (troppe) domande sospese, inespresse.

Su tutto, poi, la strage di Acca Larentia. Un massacro folle, una tragedia senza colpevoli. Per centinaia, migliaia di giovani il turning point. E poi Moro, via Fani, la Renault rossa, il potente di ieri schiacciato dai mostri del presente, gli stessi che, in qualche modo, aveva suscitato, evocato. A quel punto gli interrogativi vogliono risposte. Gli schemi di ieri non bastano più. A chi si attarda a non capire e/o propone improbabili fughe armate nella follia, Vittoria/Annalisa risponde come il comandante Butler: «francamente me ne infischio».

Ma “Vittoria” non è (per fortuna) un romanzo “militante” in salsa postfascista e non nemmeno una “recherche du temps perdu” capitolina. La Terranova, scrittrice dall’intelligenza raffinata, non indugia inutilmente nella nostalgia ma offre, a chi sa leggere e vedere, una lettura plurale per capire scelte e destini di un microcosmo generazionale attraverso l’unica chiave possibile: la solitudine.

Qualche esempio. Con delicatezza l’autrice narra lo sgomento dei padri e delle madri, dei “vecchi” travolti improvvisamente dall’ondata del post’68, uno tsunami epocale. In quegli anni tormentati, la generazione della guerra e del “miracolo economico”, le donne e gli uomini che avevano visto il disastro e poi la resurrezione dell’Italia videro all’improvviso idee, certezze, sicurezze sbriciolarsi, crollare. Dinnanzi alla rabbia degli operai delle grandi fabbriche, all’odio incomprensibile degli studenti  — i figli del benessere — verso i simboli del lavoro, difronte all’implosione della Chiesa conciliare e alla deriva del corpo insegnante, l’Italia profonda, ancora memore della miseria contadina, rimase senza parole, basita.

I più cercarono d’adattarsi e si lasciarono, senza convinzione, convincere. Altri, una minoranza — come i genitori di Vittoria — cercarono d’opporsi alla tempesta e d’ergere una “diga tricolore” agitando bandiere lacere ma fiere, parole d’ordine generose ma vecchie, ormai incomprensibili. Una battaglia ostinata e perduta. Per tutti. Un decennio più tardi i computer e la globalizzazione avrebbero spento l’incendio e cancellato ogni illusione.

In questo panorama devastato e devastante per un/a ragazzo/a ribelle ma non comunista, poche, pochissime erano le alternative. Il MSI era l’approdo naturale. Ma il piccolo mondo della Fiamma, il partito dei “reduci in Patria”, poco aveva, in termini d’idee e programmi, d’offrire ai giovani figli del sessantotto e dintorni. Nonostante qualche bella intelligenza e tanto coraggio, i missini restavano incastrati in culture rispettabili ma obsolete, in rituali sorpassati, in logiche passatiste. Mentre l’Italia e il mondo cambiavano vorticosamente riferimenti e linguaggi e “fuori” tutto scorreva, tutto ruotava, tutto cambiava, nessuno a palazzo del Drago sembrava accorgersene.

Furono i ragazzi e le ragazze della Giovane Italia e del FdG — staccati dai riferimenti familiari, anche da quelli più vicini, e obbligatoriamente distanti e opposti ai loro coetanei — a scrivere pagine nuove. Ad aprire nuove prospettive. A voltare pagina. Senza maestri. Fieri d’essere, come recitava il motto dei patrioti irlandesi, controcorrente: “Noi soli”. Ancora una volta l’orgoglio della solitudine.

Un percorso, come ricorda Vittoria/Annalisa difficile. Una strada costellata di speranze, errori, progetti, delusioni, sangue. Un sentiero irto e amaro su cui si stagliano tanti, troppi, caduti. Tante, troppe, giovinezze perdute. Il libro si chiude, eco di tragedia greca, con due immagini forti: la scomparsa, dolcemente straziante, della madre e il ritorno, in un giorno qualsiasi, di Vittoria/Annalisa sui gradini di Acca Larentia. Le radici profonde e il ramo spezzato. L’addormentarsi sereno di mamma, lo scrigno dei ricordi, e il saluto a Stefano, l’amico assassinato da un carabiniere ancora impunito. Per chiudere il cerchio della memoria. E trovare finalmente risposte.

di Marco Valle

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