Emanuele
Fiano è un personaggio problematico. Intelligente ma disordinato, con
molti problemi e tanti rancori. Un uomo acculturato ma a volte
accidioso, sicuramente iroso. Come l’arcigno Dio di Mosè, il Fiano
nostro non perdona nessuno: non i suoi avversari interni nella comunità israelitica milanese — che non sopportano i suoi guizzi —, non
il suo concorrente capitolino Pacifici, sicuramente più abile e
spregiudicato di lui, non il fenicio Lerner che poco o niente lo ama.
Malgrado il suo impegno, Emanuele con la sua grinta e le sue ubbie non è mai riuscito a convincere il suo mondo di riferimento — l’ebraismo
italiano è una realtà attenta, colta e molto seria — e per molti suoi
ex amici è ormai fonte d’imbarazzo. I più crudeli — dalle parti di via
Mayer — lo ritengono “pesante”. Altri, con levità tutta yiddish, lo
paragonano ad un personaggio delle deliziose rappresentazioni di Monia
Ovada (altro cruccio del nostro) o di Woody Allen sul mondo della
diaspora.
Purtroppo
per lui, le sventure non sono finite. Dopo le sue disavventure
nell’UCEI, Emanuele ha cercato una rivincita in politica. A
sinistra, ovviamente. Ma senza successo. Anche il Partito Democratico,
suo approdo politico, è stato avaro nei suoi confronti. A causa —
secondo i ben informati — ancora una volta del suo pessimo carattere,
non è stato e non viene considerato, valorizzato.
Pochi
mesi fa con Renzi, per un attimo lungo un secolo, l’Emanuele ha sognato
di diventare ministro degli Interni, poi sottosegretario, poi commodoro
di qualche intruglio parlamentare. Invece nulla. Niente. Al pari di
Pisapia — un altro candidato ministeriale poi trombato e bruciato dal
callido fiorentino —, il nostro amico si è ritrovato solo e disperato
come il Golem di Praga, perso come il Santo bevitore di Joseph Roth,
confuso come un Sansone spiumato, indifeso come David senza fionda.
Comprensibile,
quindi, la sua acrimonia verso il mondo intero. Nessuno sembra volergli
bene. Ma invece di raccogliersi in meditazione — magari studiando la
Cabala o la santa Torah, oppure parlando con un paziente discepolo del
professor Freud — Emanuele, come un novello Gedeone, ha impugnato, confondendo letture e millenni, le sacre trombe. E a cercato la riscossa, convinto d’essere a Gerico…
Una
volta realizzato l’errore geografico e ritrovatosi nella Milano del
terzo millennio, constatata la mancanza di nemici egizi, babilonesi,
assiri, romani (o magari sadducei, esseni, battisti e erodiani vari…),
l’ardente guerriero è stato costretto a ripiegare su Roberta Capotosti,
consigliera provinciale di Fratelli d’Italia. Lo sventurato — ormai,
secondo i beninformati, afflitto da sindromi para religiose — si è
convinto che la giovane milanese sia in realtà la terribile sacerdotessa
del macabro dio Baal. Dal suo scranno parlamentare — per l’occasione
ricoperto da vello di lana di pecora — Fiano nostro ha tuonato contro la
presunta principessa dell’idolatria pagana e ha presentato all’inutile
Alfano — scambiato da lui, così si sussurra a Montecitorio, per uno
zelota di passaggio — questa mirabolante invocazione/interrogazione:
«Il
29 Aprile scorso a Milano si è svolta una manifestazione di diverse
sigle del mondo neo fascista; tale manifestazione in forma di corteo si
svolge da diversi anni per celebrare l’anniversario degli omicidi di
Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi, i cui omicidi sono stati condannati a
più riprese da tutte le forze democratiche. Tale
manifestazione si svolge anche nel ricordo di Carlo Borsani, membro
della Repubblica Sociale Italiana, ucciso nei giorni della liberazione.
In tale corteo nonostante le prescrizioni della Prefettura di Milano, si sono ostentate bandiere con la croce celtica. In
filmati presentati nel Consiglio Comunale di Milano e pubblicati sulla
rete internet si riconosce Roberta Capotosti, Vicecapogruppo di Fratelli
d’Italia nel Consiglio provinciale di Milano, nell’atto del saluto
romano ripetuto più volte insieme ad altre centinaia di militanti
dell’estrema destra milanese. A
tale manifestazione hanno partecipato anche, come verificato dai
filmati, l’ex Assessore Regionale Romano La Russa, Massimo Turci
Consigliere Provinciale e Carlo Fidanza Deputato Europeo: se
il Ministro interrogato ritenga che il comportamento della Consigliera
Capotosti sia compatibile con l’Istituzione che essa rappresenta e con
l’ufficio che ricopre sulla base delle norme vigenti in Italia».
Oleeé!!!
Mentre
Gedeone-Fiano attende la risposta al suo traballante quesito (e,
speriamo, l’arrivo di un buon professionista), riportiamo la
dichiarazione della Capotosti (persino troppo seria; vista l’entità
della faccenda, basterebbe una prece a Baal — invero temibile divinità —
o una semplice chiamata alla CRI…) in seguito all’agitarsi scomposto
del troppo irato deputato e dei suoi pochi sodali. Eccola:
«Credo
sinceramente stiano esagerando. Addirittura una interrogazione
parlamentare contro di me per il “presente” a Borsani, Ramelli e
Pedenovi? Ora anche Renzi si dovrà occupare del “vergognoso caso
Capotosti”! Non bastavano il consiglio comunale
di Milano e nove consigli di zona che, nei prossimi due mesi, avranno
all’ordine del giorno la censura contro di me, invece di occuparsi di
questioni serie per i cittadini? Con la scusa dell’antifascismo
militante si sta travalicando il limite del tollerabile e
dell’accettabile. Non sono un mostro da sbattere sui giornali o in
televisione. Non sono un mostro da additare e schedare come erano soliti
fare negli anni ’70. Vogliono fare di me un obiettivo da colpire,
armando subdolamente la mano a qualche coglione pronto a colpire alle
spalle come sono abituati da anni a fare? Lo facciano ma lo ammettano
pubblicamente. Sono pericolosi, patetici e miserabili senza onore. Io i
miei morti li commemorerò sempre, a modo mio, a modo nostro, con buona
pace di chi tenta di ribaltare la storia delle vittime e dei carnefici e
pretende di dare patenti di democrazia mentre con i propri atti emette
mandati di cattura che rimandano ai tempi bui in cui uccidere un
fascista non era reato. Mi fanno schifo. Mi danno sui nervi. Io non ho
nulla di cui vergognarmi. A differenza loro. Ecco».
di Marco Valle
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