L'Italia è diventata un Paese leopardiano. Non per sensibilità poetica, letteraria e filosofica, ma per pessimismo economico, sociale e vitale
L'Italia è diventata un Paese leopardiano. Non per sensibilità poetica, letteraria e filosofica, ma per pessimismo economico, sociale e vitale. C'è un rapporto sugli indici di prosperità che ci vede agli ultimi posti nel mondo in fatto di aspettative e fiducia. Vediamo nero, come l'Africa. Il nostro vero premier non è Matteo Renzi, ma il Gatto Nero e ogni volta che ci attraversa la strada sono dolori. Il nostro vero presidente della Repubblica non è Napolitano, ma O'Iettatore, e a ogni occhiata che getta sul Paese accadono catastrofi. Oscilliamo tra il dark e il noir. Un tempo, diceva il Censis, ci sviluppavamo a macchia di leopardo, ora la macchia è unica e il leopardismo è totale. Avessimo almeno preso da Leopardi, nel senso del “giovane favoloso”, la vena poetica, l'ispirazione profonda, la sofferenza sublimata in canto. Macché, abbiamo solo il suo pessimismo e l'Italia si è ingobbita come lui, che a Napoli chiamavano O' Scartellato. Ma nella smorfia e nella vita il gobbo almeno portava fortuna ed era raffigurato con un curniciello. Invece il nostro leopardismo è solo funesto e lagnoso, ha perso pure il pregio fortunoso della gobba e si capovolge in iella e auto-sfiga.
A questo punto la nostra ultima carta da giocare è mutare l'handicap in risorsa e, per restare in letteratura con Pirandello, farci riconoscere la patente internazionale di iettatori, in modo da intimorire chi vuole infliggerci procedure d'infrazione, retrocederci o cacciarci dall'Europa. Non trattateci male, altrimenti vi guardiamo di malocchio.
di Marcello Veneziani, da Il Giornale
Commenti
Posta un commento