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Erdogan considerato il dittatore ma poi alla resa dei conti prende voti. Come legge questa contraddizione?
«Lei pensa che Mussolini prendeva voti perché la gente aveva paura di lui? Non è così. I dittatori in generale sono tali perché in un modo o nell’altro si rivelano più abili degli altri. Erodgan, senza dubbio ha anche il consenso dei turchi».
Quindi per lei non c’è alcuna contraddizione?
«Non è una contraddizione. Erdogan ha i voti perché ha fatto delle promesse. Purtroppo, e lo dico perché ha fatto promesse anche ai gruppi più vicini al jihadismo; del resto che in qualche modo appoggi l’Is credo che lo sappiano tutti. Il governo di Tripoli sostiene l’Is e lui sostiene il governo di Tripoli. Non a caso, l’Is e Erdogan hanno in comune gli stessi nemici: Assad, i curdi e gli iraniani».
La stretta sull’informazione condannata dall’Occidente, secondo lei in Turchia ha contribuito alla vittoria di Erdogan?
«E’ un tormentone che ricorre. Ogni tanto, Erdogan chiude qualche giornalino vicino alla gauche caviar che non è solo a Parigi ma anche in Turchia; dà una strettina a gruppi troppo filo-occidentali che in questo momento gli rompono le uova nel paniere perché Erdogan è in una fase di recupero, ma è altrettanto vero che la sua linea corrisponde alla sua impostazione e a quella della sua famiglia: Erdogan, effettivamente, è un fondamentalista moderato per usare una pessima definizione tanto in voga. Sta facendo una politica che gli serve a consolidare consenso, puntando sul fatto che i poveri sono numericamente più dei ricchi, specie in tempi di crisi, e i ricchi in Turchia, ovvero i ceti più abbienti e colti sono tutti fortemente filo-occidentali, favorevoli dunque all’ingresso in Europa. Lui dà loro una stretta e guadagna consensi interni anche perché i ceti benestanti stanno sulle scatole alle masse. Tuttavia, nello stesso tempo, Erdogan manda alcuni piccoli avvertimenti anche a noi».
Quali?
«Si possono riassumere in una brutale ma realistica posizione in base alla quale Erdogan ci dice: per anni vi ho chiesto l’ingresso in Europa ma voi avete fatto un sacco di storie. Sapete che c’è di nuovo? Io oggi non ho più bisogno di voi. E questo è preoccupante nel momento stesso in cui Erdogan acquista peso nella Nato e nel Mediterraneo. Per quanto riguarda la Nato, a mio avviso sbagliando, sta prendendo piede una linea filo-sunnita e anti-sciita. Ormai, stanno parlando di aprire le porte a Israele e all’Arabia Saudita: in questo contesto – e la cosa piace molto a Matteo Renzi – significa assumere una posizione anti-russa, anti-siriana e anti-iraniana, quindi in prospettiva anche anti-cinese. I segnali ci sono con le manovre della Nato nel Mediterraneo orientale: una pura provocazione volta ad attizzare i carboni di una nuova guerra fredda, che poi tanto fredda non è: diciamo tiepida. Invece, bisognerebbe essere più cauti nello schierarsi».
C’entra qualcosa l’assalto al cimitero cristiano italiano?
«La vittoria di Erdogan rafforza il governo di Tripoli e mette in difficoltà l’Onu che cercava di trovare una via di mezzo tra Tripoli e Tobruk a questo punto abbastanza improbabile per arrivare a una transazione. E’ il senso ultimo dell’assalto al cimitero cristiano che Tobruk giustifica col falso sconfinamento delle nostre navi; con conseguente reazione di Tripoli per ottenere una risposta dura da parte dell’Italia in maniera da poterla poi negoziare».
Qual è il vero Erdogan per Franco Cardini?
«E’ quello che abbiamo visto stamani. E’ un uomo di potere che sa che a questo punto anche se la Turchia magari non entrerà mai in Europa, sta acquistando molto più credito in Occidente e mi riferisco al ruolo dentro il club Nato e tra i Paesi che vi aderiscono che poi sono in gran parte europei. In realtà a Erdogan interessa agganciare gli americani da una parte e dall’altra il blocco egiziano, arabo-saudita che si sta concretizzando e intorno al quale si sta portando avanti la guerra civile musulmana contro gli sciiti. Questo è l’aspetto che di lui mi preoccupa di più e che lo fa insistere contro un’eventuale soluzione in Siria che comprenda un minimo di permanenza o di sopravvivenza di Assad. L’errore è che così si impedisce il dialogo tra Obama e Putin che invece, andrebbe agevolato. Fino a quando si continuerà a dividere il mondo tra chi vuole la guerra e chi no, non andremo da nessuna parte».
da Destra.it
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