Un unico Dio. Una narrazione teologica parzialmente in comune. E poi? Qual è un'altra congiunzione simbolica e/o fattuale che funge da cerniera tra Cristianesimo e Islam? Il rosso, credo sia il rosso. Il rosso come metafora cromatica delegata d'un ruolo pedagogico per abbozzare una semplice comprensione o, se non altro, per abbracciare un'umile percezione. Il rosso del vino, bevanda assolutamente proibita dai precetti coranici, eppure, al contempo, nettare divino nel quale viene diluita la sostanza trascendente del Nazareno: "Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza". Già, il sangue, di colore rosso, per un legame duraturo, magari eterno. Come quello che unisce i martiri con i fedeli. Ed ecco che anche in tale ambito si palesa un'altra asimmetria legata all'ortoprassi delle letture sacre. I martiri cristiani donano il loro sangue per salvare gli altri mentre il martirio jihadista prevede il sangue degli altri per salvare se stessi. Il rosso, come il libretto di Mao, una summa dell'ateismo militare e militante, la cui lettura ha plasmato molte menti disposte a credere che quell'ideologia consentisse di interpretare qualunque altro libello dalla valenza salvifica. Col tempo qualcuno – tipo Wilhelm Röpke - ha potuto constatare con assoluta certezza che il Vangelo non è mai stato socialista. Per quanto concerne il Corano siamo in attesa di una delucidazione definitiva in merito alla sua reale natura.
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