Ida Magli o la fallocrazia spiegata alle femministe

Dopo Costanzo Preve si spegne un’altra voce fuori dal coro. Ida Magli è morta nella sua casa a Roma, all’età di 91 anni. Ad annunciarlo è stato Giordano Bruno Guerri, vicino alla famiglia, che con lei scrisse anche un libro intervista nel 1996 Per una rivoluzione italiana. Molti ora la ricordano per quel trittico anti-globalista (La dittatura europeaDopo l’Occidente e Difendere gli italiani) che con largo anticipo pose le basi moderne del primato politico sull’economico. Ma la Magli era innanzitutto un’antropologa laureata in filosofia con specializzazione in psicologia medica sperimentale alla Sapienza dove ha insegnato fino al 1988. Studiava l’uomo anche se si è sempre impegnata nella difesa delle donne.
Il suo libro più affascinante e meno commerciale risulta infatti La sessualità maschile (Baldini&Castoldi) in cui affrontò il tema centrale del potere confutando le banali teorie femministe che hanno sempre parlato di una società maschilista, senza però spiegarne le origini. “Per capire la nostra cultura dovevo capire i maschi, visto che sono stati loro a costruirla. Questa la strada che ho percorso a ritroso. E alla sommità della risalita ho trovato il pene” scrive. In un breve manoscritto Ida Magli si avventura in una tesi scontata quanto illuminante: al principio della nostra civiltà c’è l’organo sessuale maschile. Così il “fallo” dell’uomo viene analizzato non solo come forza simbolica, ma come organo biologico. Il pene, osserva Ida Magli, si erige, si distanzia in certo senso dal corpo e per giunta proietta la sua essenza all’esterno, amplificando la volontà di potenza dell’uomo. Così l’erezione diventa sinonimo di conquista e il getto dello sperma, uno strumento di dominazione.
“Fallocrazia” a parte, il sesso femminile era stato già studiato un secolo prima dal giovane scrittore austriaco Otto Weininger che in Sesso e Carattere distingueva l’uomo dalla donna per la sua genialità (intesa come capacità d’inventare e creare). Sul piano biologico “la vagina riduce il sesso femminile alla riproduzione”, che si traduce su quello simbolico all’imitazione. Questa tesi non vuol essere misogina, bensì una constatazione storicamente verificata (Weininger lo riscontra nella musica, nella pittura, nella scrittura, nella filosofia, nella scienza, nella politica), che tuttavia può essere confutata con delle ovvie eccezioni (Caterina di Russia, Rosa Luxembourg, Evita Peron, Simone Weil, Margherita Hack, solo per citarne alcune). Eppure l’ideologia femminista ha voluto rendere questa eccezione, sinonimo di naturalezza, in una regola inscatolata: le quote rosa. Un’emancipazione in realtà solo apparente nella “grande dittatura finanziaria”. L’antropologa Ida Magli ci ha insegnato che le decisioni politiche si prendono in altre sfere di potere perché i Parlamenti non contano più nulla. Bene, vi siete mai chiesti quante donne lavorano tra la City londinese e Wall Street? Poche, forse nessuna. Tutti quei “burocrati, banchieri e faccendieri” che lavorano dietro le quinte sono uomini e hanno il pene.

di Sebastiano Caputo, da Blog Il Giornale

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