Lettera aperta a Saviano


Se c'è una cosa che chi segue i suoi post o legge i suoi articoli ha imparato, è che Lei, signor Saviano, è un grande sostenitore dell'uguaglianza sociale. Quantomeno negli ultimi tempi, che è da quando ho iniziato a seguirla io. Per lei non esistono razze, non esistono etnie, non esistono gruppi; siamo tutti uguali, per Lei non esistono differenze tra italiani, africani, asiatici, pellerossa.
Eppure eccola lì, a sottolineare nell'articolo messo sotto accusa da Salvini e Meloni come sarebbe meglio avere sindaci di origini africane per risollevare le sorti del suo Sud, del nostro Sud.
Da una persona che utilizza l'arma, peraltro non violenta, dell'uguaglianza, questo accento sull'etnia mi sembra decisamente fuori luogo. Perchè è su questo che Lei fa gioco in quello che ha scritto:
sull'etnia, sulla provenienza. Non sulle effettive capacità di una persona, qualsiasi persona, di fare il sindaco. No, Lei si affida all'etnia, quel concetto che lei stesso aborrisce, e che vorrebbe essere superato, in un mondo cosmopolita come la New York dalla quale scrive.
Non ha scritto: "Sogno sindaci CAPACI per risollevare il mio Sud"; no, oh no, neanche lontanamente. Ha parlato di sindaci africani, come se questo fosse un discrimine, un metro di giudizio, ben migliore, più restringente e più qualificante di tutte le altre. Come se per Lei fosse più importante provenire da una certa cultura, da un certo Paese, piuttosto che essere realmente portati a governare con giustezza e capacità.

Una considerazione, questa, che non la porta molto distante ai vari Salvini e Meloni di cui lei parla e dai quali pretende di essere allontanato. Loro razzisti, lei esempio di civiltà, di larghe vedute, di avanguardia culturale. Eppure capace di scrivere che più che la reale attitudine di un uomo a fare il sindaco, e le sue reali capacità nell'amministrare un Comune, lei preferisce la provenienza. Esattamente quanto da anni sostengono Salvini, Meloni, la Lega, FdI, la Destra in generale.
Una caduta di stile niente affatto male.
Ancora una volta, mi stia bene.

di Massimo Guidi

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