POLETTI E IL CALCETTO (ROSSO)

Ora, diciamolo pure: quella di Poletti non è propriamente una sciocchezza. Anzi. È vero, il ministro poteva calibrare meglio la sua uscita ma nella sostanza ha sottolineato una verità diffusa e rinomata: nella vita le relazioni contano. Altroché. Che poi queste si vadano ad intrecciare durante una partita di calcetto o nel corso di un torneo di briscola poco cambia. Ovvio, di base si spera ci sia sempre il sapere ed il saper fare, ma poi queste qualità devono essere in qualche modo veicolate nella realtà sociale che abitiamo. Ecco, quindi se volessimo fare un ulteriore appunto al buon Poletti non sarebbe tanto per quel che ha detto - un riflesso verboso da parte di un emiliano pragmatico per indole - ma per quel che ha sempre taciuto e che mai ammetterà. Perché, specie nella sua regione ma anche in quella dalla quale scrivo e in altre ampie fette d'Italia, più che il pallone e le carte, per poter aspirare ad un salario dignitoso, poté (e può fare tuttora) la tessera. Quel tipo di tessera. Per esser chiari: le municipalizzate, le partecipate, le cooperative, le affiliate, le associazioni, insomma, quel mondo lì è sempre stato un grande ammortizzatore sociale garantito dalla sinistra Pci-Pds-Ds-Pd e ciononostante pagato da tutti, me e te compresi. Quindi il calcetto può essere utile, e per questo non mi scandalizzo di certo, ma diviene ancora più utile se l'incontro viene organizzato al circolo Arci. E per questo, se permettete, un po' mi incazzo.
di Luca Proietti Scorsoni

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