Basterebbe solamente percepire, non dico conoscere a menadito ma percepire, le attuali dinamiche geopolitiche, contraddistinte da immigrazione e terrorismo, per sconsigliare l'applicazione dello ius soli in questo frangente storico. Poi, a voler essere oltremodo dei sinceri conservatori, bisognerà pur dire che no: la cittadinanza non può essere concettualmente racchiusa all'interno di rigidi steccati giuridici e tecnici, per non parlare poi di quelli ideologici. Del resto qui è in ballo l'essere, ma proprio in senso ontologico, l'identità del singolo individuo connessa indissolubilmente al precetto di comunitarismo. E, va da sè, anche a quello di Nazione per avere la quale vi è la necessità di un apparato statuale, è vero, ma anche di una continua sedimentazione generazionale caratterizzata da elementi in comune quali la cultura, la lingua e una certa "forma mentis". La cittadinanza sono perfino i nostri tratti somatici, il nostro sguardo e le nostre attitudini morali che rimandano ad un vissuto di storia patria fatto anche di colline levigate da solchi arati, di squallide trincee adorne di baionette, di riscatti economici e commerciali e di sacrifici fiscali. Si, la cittadinanza è quanto appena detto e deve essere realmente agognata per poi, eventualmente, poterla conquistare gradualmente, meritandola. Per il rispetto dovuto a chi ci ha preceduto e per la pace sociale di chi verrà dopo di noi. Perché essere cittadini di questo Paese non solo implica sentire l'Italia come la propria casa ma parimenti come il proprio ritorno, come l'infanzia, e per dirla in maniera sontuosa e solenne come Marcello Veneziani, perfino come il cielo e la terra che ci coprirà.
di Luca Proietti Scorsoni
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