L'uscita degli Stati Uniti dall'accordo di Parigi è un atto
impopolare e probabilmente dannoso per il futuro del pianeta, ma è di
fondamentale importanza per l'economia a breve termine degli USA, poiché il suo
maggior competitor, cioè la Cina, non dovrà rispettare l'accordo di Parigi per
i prossimi 13 anni. Per i prossimi 13 anni la Cina potrà aumentare le emissioni
di CO2, potendo così sfruttare energia a costo più basso, effettuando di fatto
concorrenza sleale agli Stati occidentali, costretti dall'accordo a ridurre le
emissioni aumentando così i costi.
Quando Trump dice che l'accordo è dannoso e iniquo ha ragione,
perché l'accordo di Parigi impone regole ferree agli stati del primo mondo,
mentre garantisce regole blande per gli Stati in via di sviluppo o
sottosviluppati in nome del loro impegno a migliorare le condizioni della
popolazione, senza poter in alcun modo vigilare sul rispetto di tal accordo.
I paesi in via di sviluppo stanno attuando concorrenza sleale
da anni ai danni delle economie occidentali, “infischiandosene” dei più
basilari diritti umani, l'accordo di Parigi ha il solo effetto di aumentare la
concorrenza sleale attuata da questi paesi.
Altra conseguenza altamente infausta per le economie occidentali è l'accelerazione
della delocalizzazione delle multinazionali dai paesi occidentali verso i paesi
in cui l'accordo sul clima entrerà di fatto in vigore fra decenni, producendo
come effetto la perdita di altri decine di migliaia di posti di lavoro.
Un accordo mondiale di tale portata economica dovrebbe avere
le stesse regole per tutti i firmatari. I principi espressi nell'accordo di
Parigi saranno anche giusti, l'attuazione di questi principi assolutamente non
lo è, favorendo alcuni a discapito di altri. O tutti rispettano l'accordo o
nessuno. Fra venti anni se ne riparlerà, forse troppo tardi. Ma l'errore non è
di Trump, è stato di chi non si è saputo imporre nel 2015.
di Giacomo Gioacchini
Commenti
Posta un commento