Il sangue era ancora fresco sulla
Rambla e l’ANSA pubblicava il video di due giovani catalani stretti in un
silenzioso e struggente abbraccio. L’assassino aveva lasciato Barcellona da
poco e le forze dell’ordine catalane supplicava el puelbo di invadere i social con i gattini in modo tale da non
rendere virali le cruente immagini dell’attentato.
Il necrologio dell’istinto di
sopravvivenza occidentale è scritto col sangue delle vittime causate dall’ISIS
nel mondo in poco più di due anni e mezzo. Inni alla freudiana pulsione di
morte vengono cantati dalle labbra dei politici che scelgono la via della pace
e dell’amore. Le ombre dei monumenti spenti o colorati di pace proiettano la
figura di Thanatos che abbraccia Europa.
Sarà fiero John Lennon – contenta
Yoko Ono, proprietaria dei diritti di Imagine
– di tutte le dichiarazioni rivolte alla pace e dei gesti simbolicamente
mozzafiato, ma a questo mondo incredibilmente zen mancano all’appello mezzo migliaio di anime spazzate via dalla
guerra. Numeri degni di una vera e propria guerra, eppure non vi è alcun alto
papavero europeo disposto ad ammettere di essere in guerra. Il problema è che
hanno effettivamente ragione: l’occidente non sta combattendo la guerra, la sta
subendo.
Arriverà, si spera, il momento in
cui la pulsione di vita tornerà di moda – si attende l’hashtag lanciato da
Justin Trudeau – e l’Eros vincerà su Thanatos, ma bisognerà iniziare a
rinunciare alla comodità. È tanto comodo organizzare funerali di stato e
piangere una volta al mese tornando poi, il giorno successivo, a maledire i
populisti per sciacallaggio e invitare tutti alla prelibata tavola della
tolleranza. È molto scomodo, invece, ammettere di essere in guerra, annunciare
il fallimento dell’accoglienza e preparare la popolazione a morti causate in
primis dalla supponenza della civiltà occidentale.
Non siamo nel mondo delle fate e
purtroppo l’amore non vince sempre sull’odio. Quando lo capiranno anche i
grandi leader occidentali probabilmente sarà troppo tardi.
di Lorenzo "Mutto" Stella
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