Tra i due litiganti la terza gode?

La gara tra Berlusconi e Salvini per la guida del centro-destra ecciterà le rispettive tifoserie ma disorienta e allontana il vasto elettorato potenziale di centro-destra.

A spingere i due verso l’alleanza è l’odore della vittoria e il realismo dei numeri, ma a spingerli in direzione opposta c’è non solo l’indole dei due leader e il pressing dei loro ambienti di riferimento: c’è una divergenza ormai troppo forte di linea.

Non si può stare con la Merkel e contro la Merkel, non si può stare coi popolari e coi populisti, non si può sottostare all’Europa e insieme dare priorità all’Italia. E non si può essere alternativi e insieme complementari al renzismo e paraggi.

Per non dire del resto. La controprova dell’impossibile intesa è data proprio dai giornaloni che non rappresentano più l’opinione pubblica ma sono utili termometri per misurare le tendenze del potere: per loro cambia tutto se l’egemonia sarà nelle mani da Salvini o di Berlusconi.

Nel primo caso si schiereranno contro, nel secondo caso saranno accondiscendenti, se non di supporto. E questo, per l’elettore-tipo che si rivolge al centro-destra sarebbe una ragione per diffidarne, per darsi alla macchia e alla protesta, trastullarsi coi grillini o altre liste del cuore.

Intanto un modo per mandare un segnale ai poteri e ai duellanti può essere la simpatia crescente per la loro alleata nazionale, Giorgia Meloni. Che assume agli occhi di molti una posizione terza, di equilibrio, tra Salvini e Berlusconi in tema di migranti, di questione nazionale, di popolari e populisti, di moneta e di Europa.

Decisamente alternativa al politically correct, come Salvini, ma decisamente schierata in difesa dell’unità nazionale, rispetto a una Lega in cuor suo nordista, la Meloni gioca tutto sul tasto nazionale che la distingue anche dal moderatismo europeista dell’ultimo Berlusconi.

Nel derby milanese tra Berlusca e Salvini, la Meloni – irrimediabilmente romana – ci ricorda che esiste poi anche il resto d’Italia e quella cosa grande, sporca e gloriosa che è la Capitale, per non dire del sud. Dopo la Pontida leghista e debossizzata, dopo la Fiuggi forzista ed euromoderata, arriva ora Atreju, a Roma, la festa nazionale di Fratelli d’Italia nel prossimo fine-settimana.

È un’occasione per rilanciare un movimento di “patrioti”, non contro l’Europa ma per un’Europa diversa da quella vigliacca, finanziaria e politically correct vigente; tesa a stabilire il primato dell’unità nazionale e a rilanciare un’idea forte di Stato e Civiltà.

Disposta a integrare gli immigrati compatibili sul territorio ma ferma nel respingere nuovi flussi, frenare l’accoglienza ed espellere sul serio chi non accetta le regole, usa violenza, minaccia e ci odia.

Una linea che si dovrebbe riassumere in tre priorità: prima l’Italia e gli italiani, prima la famiglia e le nascite, prima il merito e i migliori. Per una democrazia comunitaria, decisionista, responsabile.

Una forza non risolta nel presente, ma capace di forte memoria storica, vivo senso della civiltà e dell’identità, proiettata nel futuro. Quella destra nazionalpopolare può essere il ponte e la cerniera tra la Lega e Berlusconi, il punto d’incontro e distinzione; ma se è il caso può essere la terza via, irriducibile alle due.

Perché non basta vincere, bisogna chiedersi per far cosa. A patto che sappia raccogliere tutte le “destre” sparse, anche in forma di umori, dando unità e compostezza e volgendo la rabbia in amore. A tale proposito torno a lanciare l’idea che Fratelli d’Italia punti alla Camera su energie nuove, giovanili, e al Senato su veterani, figure di prestigio e tutti coloro che hanno rappresentato qualcosa nella storia della destra, anche se ora ne sono fuori o ai lati.

Qui iuniores là seniores.

Non è ragionevole nutrire molte aspettative. Ma può succedere che tra i due litiganti la terza goda. E possa aprire brecce di speranza agli italiani che non vogliono finire sotto un Carroccio o, peggio, sotto un protettorato tedesco-fiorentino.

E non vogliono assistere succubi e passivi alla guerra lombarda tra Arcore e Pontida.

di Marcello Veneziani

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