Quei giovani fortunati che possono fumarsi lo stipendio

Uno spettro s’aggira per l’Italia e si chiama “Lavoro”.

Secondo i dati ISTAT pubblicati in mattinata, in Italia si è toccato il massimo storico occupazionale a novembre del 2017 e la disoccupazione giovanile è scesa al 32,7%. In poche parole un giovane su tre è a casa, mentre gli altri due lavorano. Un dato impressionante visto che, fino allo scorso l’anno, i numeri erano ribaltati. Cos’è mai accaduto nella penisola? Forse le aziende hanno puntato tutto sui giovani? Forse c’è stato un mimino di ripresa? Forse il governo ha agito in maniera soddisfacente per una volta? Tutto questo è vero. In parte.

Se è vero che le aziende hanno assunto un mare di giovani, è anche vero che i contratti sono principalmente di apprendistato o di tempo determinato fino al finire delle festività natalizie. Quanti sono i giovani che hanno deciso, pur di non restare a casa, di accettare qualche tirocinio pagato con un rimborso spese (quando va di lusso) con la speranza di dimostrare a non si sa bene chi la propria buona volontà? Se è vero che molti ragazzi vogliono la “pappa pronta”, è pur vero che tantissimi accettano condizioni di lavoro penose, degradanti e umilianti pur di dimostrare di non essere “choosy” come il loro amico che effettua il primo accesso su whatsapp alle undici del mattino. Questo è forse uno dei temi più affrontati e discussi negli ultimi dieci anni. Tutti a fare confronti fra il giovane che sta a casa e il giovane che lavora, tutti a voler forzatamente fare di tutta l’erba un fascio pur di etichettare una generazione che, lasciatemelo dire, di etichette ne ha già fin troppe addosso. La verità è semplice: oggi come ieri c’è chi ha voglia di lavorare e chi non ne ha.

C’è, a mio parere, un argomento che è meglio non sbandierare in piazza: nessuno si è mai occupato di capire come i giovani lavoratori spendono il proprio “misero” salario. Le generazioni passate, non appena trovato un lavoro, cercavano una propria indipendenza: macchina, casa, famiglia era un percorso obbligato. Oggi sono pochissimi i giovani che hanno una propria indipendenza e questo porta a chiedersi cosa se ne facciano del proprio stipendio i ragazzi che hanno la fortuna, non sempre meritata, di avere un’entrata fissa mensile.

Tenterò di rispondere a questo quesito basandomi esclusivamente su esperienze personali. Il 70% dei ragazzi fa uso di stupefacenti ogni giorno o più di tre volte a settimana. Il 90% consuma alcolici in maniera spropositata, anzi direi il 99%. Il 30% gioca d’azzardo molto più sovente di quanto ammetterebbe agli amici più cari.

Questo quadro straziante e lancinante, che nessuno decide di esporre pubblicamente, è stato dipinto da un sentimento molto semplice: lo sconforto. A costo di contraddirmi entro poche righe, vorrei che la mia generazione fosse ricordata come la “Generazione sconfortata”. Appena affacciati all’età della sapienza siamo stati travolti dalla crisi economica: ogni giorno il predicatore in tv leggeva compianto i nomi delle vittime di questa guerra invisibile che ha distrutto tantissime famiglie. Che fosse l’artigiano suicida per colpa di Equitalia o la famiglia sbattuta in mezzo alla strada poco importava: ogni notizia era un macigno sul nostro cuore di adolescenti. Ci è stato insegnato che investimento uguale fallimento, che la libera iniziativa in Italia non funziona, ci hanno imposto il preservativo perché “figlio mio, vorrai mica mettere al mondo un figlio in questo mondo?”. Ci hanno bruciato le ali proprio quando dovevano crescere mentre l’Iphone ci anestetizzava.

Ed è bello sentire gli anziani, tipo quelli che hanno 59 anni (tipo Boeri) dire che fortunatamente ci penseranno gli immigrati a pagare le pensioni.
di Lorenzo "Mutto" Stella

Commenti